
Alessandro Baricco
Dall’intervista di Anna Bandettini su Il Venerdì, 9.06.2023
Quando scrivo voglio libertà
Non si scappa dall'antica Grecia, perché lì i nostri problemi sono in una forma aurorale, dunque chiarissima. A dirlo non è uno qualunque, ma Alessandro Baricco, scrittore lontano dalla definizione
consueta, «prima che scrittore io sono narratore», dice, e per questo ha aperto una scuola, la Holden, e da affabulatore ha fatto più di quindici romanzi, e poi racconti, sceneggiature, saggi a partire dal celeberrimo I barbari, televisione, cinema e teatro «dove sto molto bene», come confessa, e ha una bella lista di titoli, dal' ‘96 Totem, Moby Dick, l'Iiade, Palamede... Proprio in veste“teatrale” Alessandro Baricco sarà al prossimo Festival dei Due Mondi di Spoleto con un suo testo, Tucidide. Atene contro Melo, omaggio, avvincente e disseminato di aneddoti e commenti tra le pieghe della storia originale, al grande storico della Guerra del Peloponneso, e concentrato sulle poche ma fondative pagine del dialogo tra gli ambasciatori di Atene e di Melo, altissima riflessione sulla giustizia tra forti e deboli. Lo si vedrà in piazza Duomo a Spoleto il 29 giugno, e «per ragioni di salute», spiega Baricco, «non potrò essere io in scena. Ma ho desiderato e chiesto a Gabriele Vacis
di interpretarlo, è un testo perfetto per lui, così io mi concentro sulla regia». E non sarà una cosa indifferente, perché con l'amico Vacis, a sua volta attore e regista di tanti spettacoli, in veste di narratore, con Stefania Rocca e Valeria Solarino che al leggio danno voce rispettivamente agli ateniesi e ai melii, inscena ci saranno i 100 Cellos, lo straordinario ensemble di cento violoncellisti fondato e diretto da Giovanni Sollima, che cura anche le musiche originali.
Baricco, lei la definisce un'opera in forma di concerto?
«Sì. Da regista sono convinto che quando si portano in scena i testi classici devi restituirne l'emozione. E lo stupore di tutti quei violoncelli che: hanno una energia pazzesca, vi assicuro è una vera meraviglia. Io li uso anche come scenografia, gli archetti sono lance, gli strumenti scudi... Il mio progetto è di portare in giro questo lavoro per tre anni, d'estate nei teatri di pietra e d'inverno nei teatri lirici perché sono riti della memoria da fare con molta gente».
Perché è importante questo dialogo tra Atene e Melo?
«Intanto è un play teatrale. È tutto in presa diretta, ed è strano perché uno storico non può fare la fiction, eppure ‘Tucidide l'ha fatta e in modo avvincente. Riguardo al tema, poi, il punto è: quando c'è uno più forte e uno più debole ci possiamo muovere su principi di giustizia, uguaglianza, umanità, moralità? Domanda pazzesca. E, altro aspetto importante se si pensa alla attualità, è che gli ateniesi dicono ai melii voi siete deboli, perderete, per difendere il vostro onore, volete davvero buttarvi in una guerra?».
Fa venire in mente l'invasione della Russia in Ucraina?
«Sì, ma non è obbligatorio. Così come, se si vuole, Atene fa la parte degli Usa, comanda un'alleanza militare in tutto simile alla Nato, ed è la grande potenza che protegge creando un suo impero economico e militare. Ma sia chiaro che non è uno spettacolo sull'attualità, non è un talk show».
Se facciamo il gioco, Atene o Melo, lei sta con le ragioni dei forti o dei deboli?
«Impossibile schierarsi. In quel dialogo ritroviamo pensieri anche contraddittori. Ma abbiamo scelto quei padri lì, un modello che ha marcato l'Occidente».
A questo proposito cosa pensa della cancel culture?
«La vivo con rispetto nella cultura dei miei figli ma anche con fatica. Ammetto che quando oggi leggo Novecento in pubblico al posto di “negro” dico “nero”, ho tolto la battuta sugli omosessuali, innocente, ma ora non più. E però non intendo farmi deviare dal fanatismo. Se scrivo devo essere libero. Il mio nuovo romanzo sarà un western, il genere più politicamente scorretto».
Western vero? Con cowboy, pistole, nativi...
«Sì sì, ma essendo un western metafisico avrà parecchie sorprese. Si intitola Abel, uscirà a novembre da Feltrinelli».
Diventerà un film?
«Non ci ho pensato. Intanto quest'anno esce Senza sangue, con Salma Hayek e Demian Bichir, il film di Angelina Jolie dal mio romanzo del 2002».
Jolie aveva detto di essere affascinata da come lei racconta la guerra e i suoi traumi. E lei? Affascinato da Angelina?
«Mi ha invitato sul set, ci siamo incontrati lavorando un po' insieme sulla sceneggiatura. È una donna particolare, con una dolcezza, un garbo che non trovo in persone più semplici. È stato un incontro umano bellissimo. E il film mi ha commosso. È quello più simile al libro. Ha quel cuore lì».
Lei scrive sempre tanto?
«Ho scritto moltissimo da quando avevo vent'anni, ogni giorno. Ma da un po' di tempo mi sono anche messo a guardare il cielo e gli umani intorno a me».
La malattia ha cambiato la sua prospettiva?
«Sono malattie che hanno una presenza ostinata, ingombrante nel tuo corpo, nei tuoi pensieri. È come se ti mettessero a vivere in Antartide, ne esci diverso. Ma se mi chiede “la malattia ha cambiato il suo modo di scrivere?”, la mia risposta è un no certo».
Ed è bello.
«Sì, nei momenti difficili uno si rincantuccia in quello spazio lì. Ci sono romanzi nati mentre intorno c'erano le guerre mondiali. E anche io ho seguito la mia rotta con la tempesta, la siccità o il terremoto e la malattia è uno di quelli. Se leggerete Abel non è che si penserà, questo qui è stato in ospedale».
È stata dura?
«Sì. Ma di queste cose parlo poco non per nascondere qualcosa, ma perché alla fine sono torinese, dette due cose, il resto me lo vivo io».
Adesso che cosa progetta?
«Voglio accompagnare bene l'uscita di Abel, e la testa è piena di sogni che non sono libri o scrittura. Così come ho aperto una scuola, ho in testa di un'altra cosa. Ma ne parlerò appena ho le idee più chiare».