Films For The Earth
Una retrospettiva di documentari musicali di Frank Scheffer
La musica di Gustav Mahler scorre nel programma del festival intorno a due grandi capolavori eseguiti dai musicisti della Budapest Festival Orchestra: Das Lied von der Erde, nell’orchestrazione di Arnold Schönberg e la Sinfonia n. 5 in do diesis minore. Intorno al Canto della terra, una retrospettiva di documentari musicali di Frank Scheffer, indaga il ruolo di Mahler come precursore della musica del XX secolo. Scheffer ha una lunga reputazione come autore di oltre quaranta documentari sperimentali sui grandi maestri della musica. Ha lavorato con importanti compositori del dopoguerra come Luciano Berio, Pierre Boulez, John Cage, Elliott Carter, Karlheinz Stockhausen e Frank Zappa. Il MoMA di New York ha ospitato una sua retrospettiva. Nei suoi film, l'immagine e il suono sono orchestrati per offrire al pubblico un'esperienza visiva e sonora unica.
Films For The Earth ci invita a riflettere sul ruolo della musica nel nostro "villaggio globale", mostrando come questa continui ad arricchire la nostra esperienza del mondo.
Films for the Earth è parte del progetto Songs of the Earth ideato da Marina Mahler
INFORMAZIONI
Si avvisa che le date e gli orari potranno subire variazioni.
Per aggiornamenti consultare il sito www.festivaldispoleto.com
Una Sinfonia di Film sulla Musica
Testo di Franck Scheffer
Per me, il cinema è sempre stato un modo di ascoltare. Ascolto con gli occhi, con la macchina da presa, con il ritmo del montaggio. Il suono – soprattutto la musica – è il cuore del mio modo di percepire il mondo. I miei film sono estensioni di questa sensibilità. Ciò che mi affascina è la percezione stessa: come suono, tempo e immagine modellino il paesaggio interiore. La musica mi ha sempre attratto, non solo per la sua bellezza o la sua forza emotiva, ma per la sua architettura, la sua logica, il suo mistero. Vive nel tempo, è invisibile eppure profondamente commovente. Ho desiderato che anche i miei film vivessero in questo modo. Come disse Gustav Mahler: una sinfonia dovrebbe contenere tutta la vita.
Quando ho iniziato a lavorare con i compositori – alcuni tra i pensatori e creatori più radicali del XX e XXI secolo – non li ho mai considerati semplici soggetti. Li ho avvicinati come collaboratori, a volte persino come guide. Non mi interessava documentare semplicemente le loro vite: volevo entrare nel loro modo di pensare, permettere al film di evolversi insieme al loro spirito. Con compositori come Gustav Mahler, Edgard Varèse, John Cage, Elliott Carter, Karlheinz Stockhausen, Luciano Berio, Pierre Boulez, Louis Andriessen o Frank Zappa, cercavo non solo di comprendere, ma di sentire ciò che stavano cercando di esprimere – attraverso il silenzio, il caos, la ripetizione, la struttura. Ogni compositore apriva una porta verso un universo differente.
Varèse scrisse una volta: «Il compositore contemporaneo si rifiuta di morire». Questa frase, stampata su un album di Zappa che scoprii a tredici anni, accese in me una scintilla. Mi condusse a realizzare oltre cinquanta film sulla musica, ciascuno una meditazione sui legami profondi tra suono e cinema. Dopo essermi diplomato alla Dutch Film Academy nel 1982, lessi Lo spirituale nell’arte di Kandinsky e rimasi colpito dalla sua idea che la musica, in quanto forma d’arte più astratta, offre all’artista la massima libertà espressiva. Kandinsky sosteneva che i principi della musica potessero essere trasposti in altre forme artistiche. Decisi allora di dedicare il mio lavoro a una musica che illumina. Ispirato da registi tra loro opposti come Eisenstein e Tarkovskij, iniziai a concepire il cinema come una composizione, lasciandomi guidare da principi musicali nella costruzione della struttura filmica. Entrambe sono arti del tempo, e condividono elementi strutturali come ritmo, spazio e memoria.
Luciano Berio disse una volta che il modernismo nacque spiritualmente con Mahler. Il mio rapporto con la musica di Mahler è fatto di profondo riconoscimento e abbandono emotivo. Le sue sinfonie sono paesaggi interiori – bruti, vasti, e senza paura della contraddizione – dove bellezza e terrore convivono, come nella vita. Allo stesso modo, due inquadrature accostate in un film non si sommano semplicemente, ma danno origine a una nuova entità (Eisenstein, Lessons in editing). Da questa idea è nata in me una fascinazione per il confronto degli opposti. Ho iniziato affiancando due grandi compositori americani, John Cage ed Elliott Carter, i cui metodi di lavoro sono diametralmente opposti. Cage mi ha insegnato ad abbracciare il caso e l’involontarietà. Fu uno dei primi a cambiarmi radicalmente la prospettiva. Marina Abramović mi presentò a John dicendomi che quell’incontro sarebbe valso la pena. Trascorrendo del tempo con lui, filmandolo, ascoltandolo parlare del silenzio, del caso, della non-intenzionalità, compresi che anche realizzare un film poteva essere un atto di ascolto. Mi aiutò a comprendere che l’assenza può essere potente quanto la presenza. Che il silenzio non è vuoto. Carter, al contrario, mi mostrò la musica come un campo di tempi sovrapposti. Ogni strumento come una coscienza, ogni ritmo come un battito autonomo. La sua complessità non era fredda – era viva. Tra Cage e Carter, si delineava per me una nuova visione dell’essere.
In tutti i miei film, cerco di trattare il montaggio come una composizione musicale. Il taglio è una nota. Il ritmo sta nel tempo delle inquadrature. A volte mantengo un piano sequenza perché trattiene la tensione, come un accordo sostenuto. Altre volte taglio rapidamente, per evocare una frase staccata o un’improvvisazione. Non uso la musica semplicemente come sottofondo o colonna sonora. La musica è il soggetto – ma diventa anche la forma.
Nel 2006 pensavo di concludere il mio ciclo sulla musica moderna con Zappa e Varèse. Ma poi incontrai Nader Mashayekhi, compositore e direttore d’orchestra iraniano. Aprì il mio orizzonte. Mi ricordò che il paesaggio sonoro del XXI secolo va ben oltre l’Occidente. La musica del resto del mondo doveva entrare nei miei film. Ciò che oggi mi affascina davvero non è solo la modernità, ma come essa risuoni con tradizioni profonde e antiche. Credo che la vera avanguardia oggi risieda nella giustapposizione: quando le culture si incontrano, non per fondersi, ma per dialogare, fianco a fianco. Questa intuizione divenne la base della mia tetralogia.
Nella parte 1, Gozaran: Time Passing, Mashayekhi affianca la musica persiana a trame contemporanee – distinte, ma intensamente in dialogo. In Inner Landscape, il compositore cinese Guo Wenjing circonda l’opera sichuanese in via di estinzione con strumenti occidentali, preservandone il nucleo e al tempo stesso sostenendolo con delicatezza. In Half Moon, il clarinettista siriano Kinan Azmeh, formatosi alla Juilliard, fonde la tradizione araba con il jazz e la musica classica, creando un suono radicato tanto a Damasco quanto a New York.
Ciascuno di questi film è diventato uno spazio d’ascolto, uno spazio d’incontro. E io, dietro la macchina da presa, ero lì a cogliere il respiro tra le tradizioni.
Ora, con Timeless Breath, intraprendo un viaggio nell’anima della musica classica indiana. Guidato dal maestro di sarangi Dhruba Ghosh, seguo la voce del suo strumento, arcuata tra silenzio e suono. Con questo film spero di comprendere perché la musica sia sempre stata la mia via per entrare nel mondo – e per tornare a me stesso.
Con ogni film mi chiedo: come posso modellare silenzio, movimento, ritmo per riflettere un mondo polifonico? Che si tratti di Mahler, Stockhausen, Cage o Mashayekhi, Azmeh o Ghosh, ognuno richiede una lingua nuova. Non credo nello stile fisso, imposto. Credo nell’ascolto. Della musica, del creatore, del momento. Il mio obiettivo non è illustrare, ma tradurre – creare una forma parallela nel cinema che respiri con la musica che riflette.
Spero che i miei film invitino a un ascolto più profondo. Non solo della musica, ma del tempo, del silenzio, degli altri. Non voglio offrire risposte. Voglio aprire spazi – per la risonanza, per la curiosità, per la trasformazione. Films for the Earth fa parte di un progetto visionario avviato da Marina Mahler, ispirato allo spirito della composizione di Gustav Mahler Das Lied von der Erde (Il canto della terra).
Per me, il cinema non serve a catturare il passato. Serve ad aprire nuove vie per ascoltare, vedere, sentire. È questo il dono che la musica mi ha sempre offerto. E attraverso il cinema, cerco di restituirlo.
Affermato regista, celebre per le sue esplorazioni poetiche nel mondo della musica, del suono e dell’immagine.
Fondatore della casa di produzione Allegri Film, ha costruito un corpus cinematografico unico, dedicato a compositori visionari e all’evoluzione del suono tra XX e XXI secolo.
Formatosi sotto la guida del cineasta sperimentale Frans Zwartjes e diplomato alla Dutch Film Academy, Scheffer ha realizzato nei primi anni opere come Zoetrope People (1982), con la partecipazione di Coppola, Wenders e Tom Waits, oltre a documentari sul Dalai Lama, co-diretti con Marina Abramović.
Una lunga e profonda collaborazione con John Cage ha segnato il suo avvicinamento alle tematiche musicali, dando origine a film peculiari quali Chessfilmnoise, From Zero e Time Is Music.
Da allora ha raccontato il mondo di Mahler, Schönberg, Stravinsky, Berio, Boulez, Stockhausen, Andriessen, Eno e molti altri.
La sua trilogia dedicata alla musica elettronica (Sonic Images, Sonic Fragments, Sonic Genetics) e il documentario In the Ocean, sulla scena d’avanguardia newyorkese, evidenziano il suo costante interesse per l’innovazione sonora.
L’intenso rapporto artistico con Frank Zappa ha dato vita a diversi film acclamati, tra cui The Present Day Composer Refuses to Die e Phaze II.
Tra le altre opere di rilievo figurano i ritratti di Elliott Carter (A Labyrinth of Time), Tan Dun (Tea), Edgard Varèse (The One All Alone) e Nader Mashayekhi (Gozaran).
I film Ryoanji e How to Get Out of the Cage (2012) hanno fatto parte delle celebrazioni per il centenario della nascita di John Cage.
Negli ultimi anni, Scheffer ha presentato in anteprima The Inner Landscape – una meditazione poetica sul compositore cinese Guo Wenjing – e Si Fan all’Holland Festival, ha ottenuto grande consenso con The Perception e ha realizzato Gustav Mahler – Singer for the Earth (2022), in cui la musica di Mahler si intreccia con una profonda coscienza ecologica.
La sua opera più recente, Half Moon (2025), dedicata al clarinettista siriano Kinan Azmeh, fonde cinema e performance in un commovente ritratto di resilienza artistica.
Il lavoro di Scheffer è stato celebrato con retrospettive al MoMA di New York, al Wien Modern e al Dutch Film Festival, a conferma del suo ruolo unico nella narrazione cinematografica della musica.
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