Rufus Wainwright
Hadrian
A Grand Opera in 4 Acts
Introduzione all'opera
di Daniel MacIvor
Hadrian racconta gli eventi dell’ultimo giorno di vita dell’imperatore romano che governò dal 117 al 138 d.C. Adriano è noto soprattutto per la costruzione del muro in Britannia che porta il suo nome e per il suo conflitto con la Giudea contro l’ascesa del monoteismo. Tuttavia è per lo più sconosciuto per quella che potrebbe essere la sua più grande eredità: l'aver vissuto apertamente il suo profondo, incrollabile amore per un altro uomo, Antinoo. Sebbene nell'aristocrazia romana dell’epoca le relazioni omoerotiche fossero accettate, queste erano tollerate solo all’interno di un rapporto gerarchico tra un uomo adulto e un giovane di rango inferiore, spesso uno schiavo. Antinoo, invece, era un uomo libero e troppo maturo per rientrare in tale schema, e ciò che più turbava la corte di Adriano era il fatto che l’imperatore non solo lo amasse, ma lo trattasse come un suo pari. Il loro incontro avvenne in Grecia, durante un viaggio imperiale che li avrebbe legati per sei anni, un lungo pellegrinaggio attraverso l’Impero. Ma alla vigilia di un futuro sereno, nella splendida villa di Adriano a Tibur, la loro storia fu spezzata da una tragedia: Antinoo morì in circostanze misteriose, annegando nel Nilo. Nella nostra opera, offriamo una possibile spiegazione della sua morte e delle scelte politiche di Adriano. Diamo voce al suo dolore incolmabile e celebriamo il suo amore per Antinoo come una delle più grandi storie d’amore di tutti i tempi.
Il dolore e l'eredità dell'amore
di Jörn Weisbrodt
Due mondi sembrano distanti secoli e separati da estetiche imponenti: il mondo dell’opera, incarnato da Hadrian di Rufus Wainwright, e quello della fotografia di Robert Mapplethorpe. Eppure, a uno sguardo più attento, emergono incroci sorprendenti, legami profondi nei temi trattati e una sovversione delle forme classiche attraverso l’iniezione di una sessualità diversa. Le fotografie di Mapplethorpe, nonostante la loro apparente carica provocatoria, esercitano un fascino irresistibile: il loro linguaggio, al tempo stesso audace e raffinato, si intreccia perfettamente con la vicenda di un imperatore che poteva avere tutto, tranne ciò che desiderava davvero. La sua eredità più grande? L’aver amato.
L’opera di Robert Mapplethorpe è unica nella storia della fotografia. Ha ampliato i confini del mezzo, scuotendo il mondo visivo nel suo insieme, e al contempo ha creato immagini iconiche di straordinaria classicità. I suoi temi, in fondo, sono gli stessi dell’arte classica: amore, morte, desiderio, bellezza, potere. Sono i mattoni del nostro universo emotivo e sessuale, gli stessi corpi celesti che orbitano attorno al sole musicale dell’opera lirica. La musica è la forma più intima di espressione dell’immaterialità delle nostre emozioni, una forza che trattiene ed esplode al tempo stesso. Nell’opera, la voce umana non è solo portatrice di significato, ma anche di sentimento: è la manifestazione più estroversa di uno stato interiore profondamente introspettivo. L’opera non riguarda il sapere, il giusto o lo sbagliato, il progresso o l’apprendimento; parla di sofferenza, tormento, della consapevolezza di ciò per cui vale davvero la pena morire.
Mapplethorpe traduce questi stati emotivi universali attraverso ciò che ha davanti agli occhi, filtrandoli attraverso uno sguardo dichiaratamente omosessuale. I materiali classici come marmo e pittura vengono sostituiti e sublimati dalla gelatina fotografica e dalla pelle. “Vedo le cose come non sono mai state viste prima”, affermava Mapplethorpe.
Hadrian di Rufus Wainwright è un’opera teatrale complessa e potente, popolata da personaggi ricchi di sfumature, che attraversano trasformazioni profonde e toccanti. È scritta nella grande tradizione operistica del XIX e dell’inizio del XX secolo, un’epoca in cui l’opera era la forma d’arte musicale più popolare, tanto che le sue melodie risuonavano per le strade.
L’approccio di Wainwright può apparire tradizionale nella sua fede nel potere del racconto, nell’emozione e nell’opera come “generatrice di sentimenti”. Tuttavia, la sua scelta del soggetto lo rende assolutamente contemporaneo. La lirica ha sempre narrato le più grandi e profonde storie d’amore, rese impossibili dalla società, dalla classe, dall’intrigo, dalla politica o dalla guerra. Da sempre, l’opera esplora l’impatto del mondo esterno sull’anima umana, e al centro di tutto pone l’amore tra due persone, il più potente e al tempo stesso fragile e doloroso dei meccanismi emotivi. Come scrisse George Bernard Shaw: «L’opera è quando un tenore e un soprano vogliono fare l’amore, ma un baritono glielo impedisce.»
Tutte le grandi storie d’amore del repertorio classico sono eterosessuali: Tristano e Isotta, Mimì e Rodolfo, Pelléas et Mélisande, Tosca e Cavaradossi. Rufus Wainwright sovverte questa tradizione e sostituisce il nucleo stesso dell’opera, la dottrina dell’amore come fondamento dell’identità umana, con una storia d’amore omosessuale. Solleva l’amore tra persone dello stesso sesso sullo stesso piedistallo delle grandi storie d’amore eterosessuali, donandogli la stessa cura, la stessa intensità, la stessa grandiosità operistica.
Le ultime parole di Adriano racchiudono il senso di tutto: «In un solo modo sono stato vero, in un solo modo sarò ricordato – questo ultimo respiro, la mia eredità: Egli ha amato».
musica Rufus Wainwright
libretto Daniel MacIvor
Coro del Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto
direttore Johannes Debus
ideazione, regia e design Jörn Weisbrodt
maestro del coro Mauro Presazzi
immagini Robert Mapplethorpe
luci John Torres
progettazione delle proiezioni Michael Worthington
PERSONAGGI E INTERPRETI
Adriano Germán Enrique Alcántara
Plotina Sonia Ganassi
Antinoo Santiago Ballerini
Turbo Christian Federici
Sabina Ambur Braid
Lavia Kristýna Kůstková
Traiano Nicola Di Filippo
Fabio Paolo Mascari
Ermogene Nicolò Lauteri
Dinarco Oronzo D'Urso
Primo Senatore Marco Ciardo
Secondo Senatore Vittorio Di Pietro
Terzo Senatore Alessio Neri
Ragazzo Markos Bindocci
assistente del direttore Johann Sebastian Guzman
assistenti musicali Daniela Pellegrino, Silvio greco, Emanuele Schinocca
assistente alle proiezioni Cory Siefker
programmazione delle proiezioni James Pomichter
produzione Spoleto Festival dei Due Mondi
INFORMAZIONI
Spettacolo in lingua inglese con sopratitoli in italiano e in inglese a cura di Prescott Studio, Firenze.
Nello spettacolo sono presenti immagini di nudo integrale.
Si avvisa che le date e gli orari potranno subire variazioni.
Per aggiornamenti consultare il sito www.festivaldispoleto.com
Quando lessi per la prima volta le straordinarie Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar – un romanzo che ha ispirato almeno tre generazioni di uomini omosessuali – fui immediatamente colpito dall’idea di trasformare questo soggetto storico in forma operistica. La sua natura intima e al tempo stesso la sua grandiosità selvaggia mi apparvero perfettamente adatte a ciò che l’opera sa fare meglio: creare un’iper-illustrazione delle tormentate vite interiori di individui posti di fronte a circostanze esteriori implacabili, mentre la musica si muove vorticosamente attraverso le dimensioni surreali che si trovano tra questi due poli. A mio avviso, nessun’altra forma teatrale riesce a rifrangere la vita in una molteplicità di colori così vibranti come l’opera, e la vicenda dell’imperatore romano Adriano è un diamante perfettamente scolpito per un’impresa del genere.
In questa nuova opera, proseguo nella mia ricerca di lunghe linee melodiche intrecciate a ricche trame orchestrali, un percorso iniziato con la mia prima opera, Prima Donna. Tuttavia, sebbene questa rifrazione prismatica sia ancora presente, avviene attraverso una lente molto più scura e aspra. La storia si svolge ai vertici di uno stato militarista e brutale, intrecciando fatti storici con pura speculazione e incursioni nel soprannaturale. Il mio Hadrian è un viaggio onirico attraverso il tempo e lo spazio, un intreccio di eventi reali e invenzioni assolute che danno vita a un vivido “istantaneo creativo” dell’epoca classica.
L’opera si concentra sul vero, ma tormentato, amore dell’imperatore per il giovane e bellissimo Antinoo. Nel frattempo, all’orizzonte si staglia l’ombra minacciosa del monoteismo, preannunciato dagli ebrei e dai primi cristiani, destinato a distruggere per sempre il loro antico sistema di credenze pagane. Le ricerche storiche mostrano come vasti capitoli della vita e dell’eredità di Adriano siano stati deliberatamente cancellati da feroci detrattori – una perdita immensa, poiché, a giudicare dalle testimonianze superstiti, egli fu un sovrano giusto e straordinariamente produttivo. Tuttavia, questa immagine è inevitabilmente offuscata dalla tragedia del massacro degli ebrei, un evento impossibile da ignorare e che rappresenta uno dei nodi centrali dell’opera, le cui conseguenze risuonano ancora oggi.
Il consolidamento dell’Impero, il suo impegno per la filosofia, le arti e l’architettura, la sua predilezione per la diplomazia piuttosto che per la forza bruta e, infine, il successo nel garantire una transizione stabile del potere: questi risultati, così come la macchia indelebile del massacro, sarebbero più noti e meglio compresi se non fosse stato per l’omosessualità esplicita di Adriano. Quasi subito dopo la sua morte, la narrazione fu riscritta secondo i rigidi dettami del patriarcato, lasciando che l’osservazione, tanto antica quanto sprezzante, secondo cui egli “pianse come una donna” alla morte di Antinoo, oscurasse ogni altra sua impresa.
Continuo ad approfondire le affascinanti idee che ruotano intorno a questa mia seconda opera. Ma sono un compositore, e dunque il mio slancio intellettuale da osservatore deve necessariamente cedere il passo alla musica – una musica che spero possiate apprezzare.
Testo di Rufus Wainwright
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Introduzione all’Opera
di Daniel MacIvor
Hadrian racconta l’ultima giornata di vita dell’imperatore romano che governò dal 117 al 138 d.C. Hadrian è noto soprattutto per la costruzione del celebre vallo in Britannia che porta il suo nome e per il conflitto con la Giudea contro l’ascesa del monoteismo. Tuttavia, rimane quasi sconosciuto per quello che potrebbe essere il suo lascito più straordinario: aver vissuto apertamente la propria omosessualità e il suo amore profondo e indissolubile per un altro uomo, Antinoo.
Sebbene nell'aristocrazia romana dell’epoca le relazioni omoerotiche fossero accettate, queste erano tollerate solo all’interno di un rapporto gerarchico tra un uomo adulto e un giovane di rango inferiore, spesso uno schiavo, subordinato al suo padrone. Antinoo, invece, era un uomo libero e troppo maturo perché la loro unione potesse essere socialmente tollerata. Ciò che più turbava la corte imperiale, però, era il fatto che Hadrian non trattasse Antinoo come un semplice favorito, ma come un compagno alla pari.
Il loro incontro avvenne in Grecia, durante un viaggio imperiale che li avrebbe legati per sei anni, un lungo pellegrinaggio attraverso l’Impero. Ma alla vigilia di un futuro sereno, nella splendida villa di Adriano a Tibur, la loro storia fu spezzata da una tragedia: Antinoo morì in circostanze misteriose, annegando nel Nilo. Nella nostra opera, offriamo una possibile spiegazione della sua morte e delle scelte politiche di Adriano. Diamo voce al suo dolore incolmabile e celebriamo il suo amore per Antinoo come una delle più grandi storie d’amore di tutti i tempi.
Atto I – La notte della morte di Adriano
L’atto si apre a Tibur, nella grandiosa villa di Adriano nei pressi di Roma. È l’ultimo giorno della sua vita. Gravemente malato e ancora immerso in un dolore inconsolabile per la morte di Antinoo, Adriano è circondato dalla sua corte e pressato dal comandante dell’esercito, Quinto Marcio Turbo, mentre tutti attendono con ansia che l’imperatore riprenda il comando. L’Impero è inquieto, una ribellione sta covando in Giudea: dov’è il loro leader?
Sospeso tra il tormento e la febbre, Adriano viene visitato da due divinità che solo lui può vedere e udire: l’imperatrice Plotina, colei che lo ha guidato al trono, e il suo defunto marito, l’imperatore Traiano, che per Adriano fu una figura paterna. Plotina è venuta a esortarlo, nei suoi ultimi istanti, ad abbandonare il dolore e a fronteggiare la crescente minaccia del monoteismo. Il suo timore è che un unico Dio possa cancellare tutti gli altri e, con essi, anche il suo ricordo. Traiano, più compassionevole, è invece venuto per proteggere Adriano dalla ferma volontà di Plotina.
Mentre l’atto si svolge e Adriano rifiuta ostinatamente di distogliersi dal suo lutto e dai sospetti di tradimento attorno alla morte di Antinoo, Plotina gli propone un patto: gli concederà di rivivere il passato, di trascorrere due notti con il suo amato, a patto che prenda misure decisive contro la Giudea e la minaccia monoteista. Adriano accetta, e così ci viene concesso un viaggio nel tempo.
Atto II – Sette anni prima, in un bosco della Grecia
L’atto ci conduce nel passato, in Grecia. Adriano riconosce immediatamente la notte: è quella in cui ha incontrato Antinoo per la prima volta. Sebbene consapevole di rivivere un’esperienza già vissuta, Plotina lo avverte: non può in alcun modo alterare gli eventi.
La scena si apre con la carovana imperiale in viaggio attraverso l’Impero, accolta in Grecia in occasione delle Robigalia, una festività del raccolto. Pompamagna, celebrazioni e preparativi per un sacrificio scandiscono il rito. Qui incontriamo per la prima volta Sabina, la moglie di Adriano: una donna dal cuore un tempo gentile, oggi indurito dalla trascuratezza e da un’amarezza latente. È chiaro che il loro matrimonio è solo una formalità.
Adriano, abile oratore, pronuncia un discorso che esprime sia il suo profondo amore per la Grecia sia una sincera umiltà personale. Le sue parole risvegliano in Sabina un ricordo lontano: la tenerezza di un tempo, l’amore che un giorno provò per lui. Nella sua aria, carica di nostalgia, lo implora di rivolgerle almeno un gesto d’attenzione.
In questo atto ritroviamo anche Turbo, l’amico d’infanzia di Adriano e comandante delle sue truppe. Turbo nutre per lui un affetto profondo e un’incontenibile preoccupazione per la sua eredità. Per questo, con sollecitudine, cerca di proteggerlo da ciò che considera scelte avventate.
Più tardi, Plotina si manifesta ai mortali sotto le spoglie di una Sibilla. Il suo presagio è oscuro: l’arrivo di Antinoo sconvolgerà l’equilibrio del mondo di Adriano e segnerà il suo destino. Ma l’imperatore, ignaro della minaccia, si lascia trasportare dalla felicità del momento, rapito dalla presenza dell’amato.
L’atto si conclude con l’invito di Adriano ad Antinoo: unirsi al suo viaggio, e alla sua vita.
Atto III – Sei anni dopo, su una chiatta in Egitto
L'atto inizia in un luogo fuori dal tempo, dove assistiamo all'amore tra Adriano e Antinoo, ormai maturato in una passione complice, quella di anime gemelle. Quando l'azione riprende, scopriamo che sono passati sei anni e il viaggio attraverso l’Impero è continuato. L'entourage, ormai stanco e disilluso, combatte contro la sensazione di essere giunto al termine del suo corso. Tutti, compreso Adriano, sono nostalgici di Roma e provano un senso di stanchezza. Antinoo, tuttavia, si è dimostrato la luce di questo lungo cammino. La sua saggezza, la sua perspicacia, e la sua compagnia sono sempre più ricercate e apprezzate da tutti. È una presenza rispettosa e rispettata da chiunque, tranne che da coloro che sono preoccupati per la situazione politica attuale, in particolare Turbo.
Turbo teme che Antinoo non solo abbia conquistato il cuore di Adriano, ma anche il suo ascolto soprattutto riguardo alla necessità di rallentare la macchina da guerra che lui e l'esercito romano considerano cruciale per la sopravvivenza dell'Impero. Adriano, in quel momento, è in cattive condizioni di salute, e si trova smarrito tra due dolori: la tristezza di dover rivivere quella tragica notte, senza poterci fare nulla, e la fatica di sopportare la malattia che lo tormenta nel presente.
Plotina rassicura Adriano, dicendogli che tutto avrà un senso e che, alla fine, accoglierà la verità che finalmente conoscerà. Nel frattempo, Turbo manipola Sabina, coinvolgendola in un piano che avrà l’effetto di separare i due amanti. Sabina dovrà vestire i panni di una Sibilla e pronunciare una profezia che annuncia che la salute di Adriano tornerà se Antinoo si sacrificherà per lui. Tuttavia, quando Sabina, sotto le sembianze della Sibilla, assiste all’amore che i due uomini nutrono l’uno per l’altro, comprende che i sentimenti di Adriano per Antinoo non sono un rifiuto nei suoi confronti, ma un amore sincero. Sabina cerca di annullare l’inganno, ma è troppo tardi: Antinoo trova una fine prematura a causa della paura e del tradimento che si consumano intorno a lui.
Atto IV – Ritorno alla notte della morte di Adriano
Nell'atto IV, vediamo Adriano inizialmente sopraffatto dalla consapevolezza della verità, per poi risollevarsi e agire. Si prepara a compiere una vendetta che sarà la rovina sia per l'Impero che per le ambizioni di Plotina di ottenere un ricordo eterno. Firma il decreto che invia le truppe in Giudea, facendo chiamare Turbo nella sua stanza. Adriano costringe Turbo a confessare l’assassinio di Antinoo. Turbo, in un impeto di disperazione, afferma che tutto ciò è stato fatto per Adriano e per la sua eredità, ma Adriano ribatte con fermezza che la sua era eredità non sarà la guerra, ma l’amore che ha vissuto. Adriano muore e ascende al rango di divinità, accanto a Plotina, Traiano, Sabina e Antinoo. Mentre gli dèi si radunano, riflettendo sul loro futuro, il coro li circonda, diviso e in pieno conflitto. La discussione si concentra sulla religione, che ha frantumato l’Impero. "Alla guerra!" gridano, "Alla guerra!"
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Il dolore e l'eredità dell'amore
di Jörn Weisbrodt
Wainwright / Hadrian / Mapplethorpe
Un concerto visivo
L’idea
Due mondi sembrano distanti ere intere e separati da un abisso estetico: il mondo dell’opera, rappresentato da Hadrian di Rufus Wainwright, e quello della fotografia, incarnato dagli scatti di Robert Mapplethorpe. Eppure, osservando più attentamente, emergono incroci inaspettati: emergono sorprendenti punti di contatto: la convergenza dei temi, la sovversione delle forme classiche attraverso l’introduzione di una diversa espressione della sessualità. Le immagini di Mapplethorpe, nonostante la loro apparente carica controversa, esercitano un fascino irresistibile. Guardandole, diventa evidente quanto siano al tempo stesso sorprendenti, raffinate e audaci nel dialogare con la storia di un imperatore che aveva tutto, tranne ciò che desiderava davvero. Un uomo che, alla fine, comprese che la sua unica eredità risiedeva nell’amore che aveva vissuto. In una rilettura completamente nuova dell’opera Hadrian di Rufus Wainwright, le immagini di Mapplethorpe non si limitano ad accompagnare la narrazione, ma diventano il mezzo attraverso cui esprimere, più che la trama, le tensioni interiori e i tormenti dei personaggi. Al posto di scenografie elaborate e di una tradizionale messa in scena operistica, questa produzione si affida a una presentazione visiva unica, capace di amplificare il dramma emotivo. Non si tratta di una scelta meramente pratica, ma di una radicalizzazione dell’esperienza teatrale, un’espansione emotiva e visiva che amplifica la drammaticità dell’opera stessa.
Da Mapplethorpe a Hadrian di Rufus Wainwright
Dagli imperi fisici all’unica immortalità possibile: l’amore
L’opera di Robert Mapplethorpe occupa un posto unico nella storia della fotografia. Ha aperto il mezzo a nuovi orizzonti, sovvertendo l’intero universo visivo, e al contempo ha creato alcune delle immagini più iconiche e classiche della fotografia. Innovatore e perfezionista tradizionalista allo stesso tempo, Mapplethorpe si è ispirato ai grandi maestri che lo hanno preceduto, come Horst P. Horst, ma anche agli artisti dell’antichità classica, da Michelangelo a Prassitele. Il suo sguardo è quello di un artista formatosi nella tradizione classica, capace di reinterpretarla con una sensibilità moderna.
Anche i temi che affronta sono intrinsecamente classici: l’amore, la morte, il desiderio, la bellezza, il potere. Sono i pilastri dell’universo emotivo e sessuale umano, gli stessi che orbitano attorno al sole musicale dell’opera lirica. La musica è il mezzo più intimo per esprimere l’immaterialità delle nostre emozioni, la tensione tra il controllo e l’esplosione. E nell’opera, la voce umana non è solo veicolo di significato, ma anche di pura emozione: la manifestazione più estroversa dello stato più introverso dell’animo umano. L’opera non si occupa di conoscenza, di progresso o di giudizio, ma di sofferenza, tormento, della consapevolezza di ciò per cui vale la pena morire.
Mapplethorpe traduce queste fondamentali condizioni emotive dell’esistenza attraverso ciò che ha davanti agli occhi, con uno sguardo omosessuale privo di remore. I materiali classici, il marmo e la pittura, si trasformano in gelatina fotografica e pelle. «Vedo le cose come non sono mai state viste prima», afferma. Se da un lato i suoi scatti più noti, provenienti dal mondo omosessuale, lo hanno reso celebre e per un certo periodo hanno oscurato la ricezione della sua opera nel suo complesso, dall’altro anche le sue immagini più esplicite conservano l’equilibrio, la tensione, la forza e la serenità della scultura classica. Sono statiche, ma contengono movimento. Sono teatrali, perché costruite con cura scenografica.
Nella scultura greca classica, la mascolinità era desessualizzata, bilanciata da elementi femminili. L’ideale era il corpo giovane, la pelle glabra, i genitali ridimensionati secondo il canone apollineo. Mapplethorpe invece libera la sessualità maschile, e in particolare il pene, pur mantenendosi entro un’estetica classica. I suoi modelli più iconici sono spesso glabri, fisicamente ambigui, lontani dall’iper-mascolinità di Tom of Finland. Ciò che rende i suoi scatti esplosivi è proprio il fatto che, pur inscrivendosi in una tradizione millenaria di ossessione per la forma umana, sembrano animati da un sangue nuovo e pulsante. E nessuno prima di lui è riuscito a rendere la natura morta floreale così fisica, erotica. I suoi fiori sono quasi più osceni dei suoi ritratti omoerotici, eppure sono solo steli, petali, foglie.
Per questo, nessuna delle immagini di Mapplethorpe, neppure quelle apparentemente più pornografiche, è realmente pornografica. Il loro scopo non è l’eccitazione. Un’immagine pornografica perde il suo potere dopo uno sguardo prolungato; con Mapplethorpe accade il contrario: la fascinazione cresce, si accumula. Se riesce a far apparire due fiori come amanti, allora anche le sue immagini più esplicite non sono che un’indagine sulla condizione umana, sulla nostra essenza più profonda. «La bellezza e il diavolo sono la stessa cosa», afferma Mapplethorpe. E non c’è artista al mondo che potrebbe contraddirlo.
Né Mapplethorpe né Wainwright nascondono l’omosessualità nel loro lavoro. La affrontano direttamente, senza pregiudizi, senza vergogna, senza riserve. E proprio per questo, il loro lavoro va ben oltre: come un proiettile, è così rapido che colpisce prima ancora di rendersene conto. Ma quando arriva, non uccide – piuttosto, rivela qualcosa che è già dentro di noi, che appartiene a tutti.
«Quando faccio sesso con qualcuno, dimentico chi sono. Per un attimo, dimentico persino di essere umano. È lo stesso quando sono dietro una macchina fotografica. Dimentico di esistere». In queste parole, Mapplethorpe esprime l’idea che nell’atto sessuale ci trasformiamo in creatori, esattamente come nell’atto artistico. Tutto il resto cessa di avere importanza.
E alla fine dell’opera Hadrian di Wainwright, queste parole trovano un’eco profonda:
I need no star.
I need no star.
And should his statues crumble
I need no stone I need no star
No stone, no star
No stone, no star
Can one possess a breath, the very air?
I have lived
And soon to die
Will see my love again I need no star
Antinous shall be the air Antinous shall be love.
And the gods shall be forgotten.
Non ho bisogno di nessuna stella.
Non ho bisogno di nessuna stella.
E, se le sue statue crollassero,
non ho bisogno di nessuna pietra.
Non ho bisogno di nessuna stella.
Nessuna pietra, nessuna stella.
Nessuna pietra, nessuna stella.
Si può possedere un respiro, l'aria stessa?
Ho amato.
E presto morirò.
Rivedrò ancora il mio amore.
Non ho bisogno di stelle.
Antinoo sarà l'aria, sarà l'amore.
E gli dèi saranno dimenticati.
E subito prima di morire:
In one way was I true.
One way to be remembered.
This final breath, my legacy:
He loved.
In un certo senso, ero sincero.
Un modo per essere ricordato.
Questo ultimo respiro, la mia eredità:
Egli ha amato.
L’amore è l’unica cosa che rimane. Ed è anche l’unica cosa che non si può possedere. Nell’amore dimentichiamo noi stessi. Costruiamo statue, muri, palazzi per affermare la nostra esistenza, ma il momento che più desideriamo è proprio quello in cui possiamo dimenticare di esistere – nell’atto d’amore e nell’atto creativo. Tutte le immagini di Mapplethorpe nascono da questa sospensione dell’io, da questa immersione nell’amore. «Solo perché ero sempre nei bar, non significava che non stessi cercando qualcuno da amare», diceva.
Ciò che Adriano comprende alla fine della sua vita, Mapplethorpe lo sa fin dall’inizio della sua espressione artistica.
Hadrian di Rufus Wainwright: un’evoluzione concettuale dell’opera
Hadrian di Rufus Wainwright è un’opera lirica profonda, complessa e straordinariamente coinvolgente, popolata da personaggi ricchi di sfumature, ognuno dei quali attraversa un’evoluzione intensa e commovente. Scritta nella tradizione operistica del grande repertorio ottocentesco e del primo Novecento – quando l’opera era l’arte musicale popolare per eccellenza, tanto che le sue melodie venivano cantate per strada –Hadrian cerca di ricostruire quel legame con il pubblico che la musica contemporanea spesso fatica a mantenere. Molte opere moderne risultano distanti dal gusto e dall’esperienza quotidiana del pubblico, poiché i loro linguaggi musicali si discostano dalle strutture armoniche e melodiche su cui ancora oggi si fonda la musica popolare.
Con Hadrian, Wainwright tenta di riportare l’opera a quel tempo in cui era accessibile e amata, offrendo una nuova prospettiva sulla lirica contemporanea e raccontando una storia inedita attraverso gli elementi che l’hanno resa immortale: melodia, armonia, emozioni profonde, arie e scene d’insieme. Allo stesso tempo, il compositore infonde nella partitura il suo inconfondibile stile “wainwrightiano”, immediatamente riconoscibile.
Non c’è dubbio che si tratti di un’opera altamente originale e indipendente. In un certo senso, Hadrian è più contemporanea di molte opere moderne proprio perché è un’opera profondamente concettuale. Se da un lato Wainwright abbraccia la tradizione credendo nel potere della narrazione e nell’opera come generatrice di emozioni, dall’altro la sua scelta tematica la rende incredibilmente attuale.
L’opera ha sempre raccontato le più grandi storie d’amore, spesso rese impossibili da vincoli sociali, differenze di classe, intrighi politici o guerre. Il suo fulcro è da sempre la tensione tra il mondo esterno e il mondo interiore dei personaggi, con l’amore come motore delle passioni umane, al tempo stesso la più potente e fragile delle emozioni. George Bernard Shaw lo sintetizzava con ironia: «L’opera è quando un tenore e un soprano vogliono fare l’amore, ma vengono ostacolati da un baritono».
Tuttavia, fino a oggi, tutte le grandi storie d’amore del repertorio storico sono state eterosessuali: Tristano e Isotta, Mimì e Rodolfo, Pelléas e Mélisande, Tosca e Cavaradossi. Con Hadrian, Wainwright sovverte questa convenzione, sostituendo il paradigma classico dell’amore tra uomo e donna con una storia d’amore omosessuale. E lo fa con lo stesso respiro epico e con la stessa profondità emotiva riservata da sempre ai grandi amori eterosessuali.
Per secoli, l’amore tra persone dello stesso sesso è stato bandito, ridicolizzato, perseguitato. Ancora oggi non è considerato ovunque uguale all’amore eterosessuale. Ciò che Wainwright fa con Hadrian è analogo a ciò che il pittore afroamericano Kehinde Wiley ha realizzato nella pittura: Wiley ha sostituito i protagonisti bianchi dei ritratti eroici dell’arte europea con figure nere, senza essere etichettato come tradizionalista o plagiatore, bensì come un visionario, un rivoluzionario. Wainwright applica lo stesso principio all’opera lirica, dimostrando che essa può e deve riflettere il nostro tempo, senza rifugiarsi in un linguaggio musicale avanguardistico fine a sé stesso, spesso poco accessibile al pubblico.
Hadrian ha riempito le sale, a differenza di molte opere contemporanee, perché al suo centro non vi è semplicemente una storia d’amore omosessuale, ma una storia d’amore universale, capace di ampliare la definizione stessa di cosa significhi amare.
Per secoli, il pubblico gay è stato tra i più appassionati sostenitori dell’opera lirica, pur senza mai vedersi rappresentato in scena. Hadrian cambia radicalmente questa dinamica, ma senza aggressività, senza accuse, senza voler provocare o puntare il dito contro chi non riconosce l’amore omosessuale come uguale a quello eterosessuale. L’opera mostra semplicemente come, inizialmente, l’amore tra Hadrian e Antinous non venga visto come tale, fino a quando, nel terzo atto, anche la moglie di Hadrian, Sabina, riconosce la profondità di quel sentimento. In lei si riflettono gli spettatori più conservatori, che attraverso il suo sguardo si trovano a comprendere, accettare e riconoscere quell’amore come autentico e innegabile.
Anche nella cultura popolare, i personaggi omosessuali sono spesso relegati a ruoli secondari o tormentati. Perfino film come Brokeback Mountain e Moonlight raccontano storie di amore omosessuale attraverso il prisma della sofferenza e della repressione. Solo di recente, con Call me by your name, il cinema ha cominciato a rappresentare l’amore omosessuale in modo più libero e puro. Hadrian segue questa stessa strada, mostrandolo senza vergogna e senza sensazionalismo.
L’opera riesce anche a toccare temi di rilevanza storica e politica. Uno spettatore di San Francisco ha raccontato di aver pianto rivedendo nell’atto terzo, in cui Antinous si prende cura dell’imperatore malato, un potente rimando alla tragedia dell’AIDS negli anni ’80. Dove, se non nell’opera, si possono affrontare questioni così profonde in modo tanto emotivo e universale?
Hadrian è un’opera senza tempo, e proprio per questo ancora più potente: la sua essenza è radicalmente diversa e innovativa. Molte opere annegano nei loro stessi cliché, mentre Hadrian se ne distacca con una nuova e rivoluzionaria interpretazione dei temi fondanti dell’opera.
Si potrebbe parlare a lungo della straordinaria costruzione drammatica dell’opera, che cattura lo spettatore fin dal primo istante, rendendolo complice del desiderio di Adriano di scoprire la verità sulla morte di Antinoo. È stato un omicidio? Un sacrificio? La storia si sviluppa come un enigma, un vero e proprio whodunnit, un’indagine carica di suspense.
In Hadrian, Wainwright costruisce momenti in cui il tempo sembra fermarsi e i personaggi si immergono nelle loro profondità interiori per esprimerle in tutta la loro intensità. L’aria di Plotina, quella di Sabina, il duetto d’amore che si trasforma in un trio nel terzo atto, l’ouverture dello stesso atto: tutte queste scene esplorano le emozioni umane più profonde, in cui la realtà esterna si sospende e il dramma si condensa in un punto di massima tensione emotiva, un’esperienza che solo l’opera può trasmettere con tale potenza. E a proposito di melodie che risuonano nella memoria, si può davvero uscire dal teatro fischiettando o sentendo riecheggiare nella mente la magnifica frase di Sabina nel terzo atto: “He loves, he loves”.
Hadrian è un’opera matura, un autentico capolavoro che combina una storia avvincente, in grado di catturare lo spettatore come un thriller, con personaggi di straordinaria complessità, ciascuno dei quali attraversa profondi e toccanti cambiamenti che li trasformano completamente.
Parafrasando George Bernard Shaw, Hadrian è più di un tenore che vuole amare un baritono mentre un soprano cerca di impedirglielo. È un sottile ma epico rimescolamento del triangolo amoroso fondamentale dell’opera. È anche una riflessione su uno dei più grandi e significativi cambiamenti della nostra storia culturale e politica: la fine dell’era classica e del suo ordine politeista, un’epoca di straordinaria fioritura artistica e nascita della democrazia, seguita dall’avvento del monoteismo, che ha gettato le basi per secoli di guerre ideologiche e repressione del pensiero umanistico, della conoscenza, dell’arte e della scienza.
Uno degli aspetti più controversi della figura di Adriano è il decreto che firmò, causando la morte di centinaia di migliaia di ebrei giudei. Nella narrazione dell’opera, questo evento assume un ruolo chiave: Plotina lo usa come moneta di scambio per concedere ad Adriano il privilegio di rivivere il giorno in cui incontrò Antinoo e quello in cui il giovane morì, per comprendere finalmente cosa accadde. Ma Hadrian di Wainwright racconta molto più di questo tragico lascito. Nell’opera, Adriano esprime rimorso per ciò che è stato costretto a fare (sebbene non sappiamo se il vero Adriano abbia mai provato simili sentimenti) e riconosce che la storia non può essere fermata con la violenza – un tema sorprendentemente attuale. Dopotutto, è proprio Adriano a gettare il seme del conflitto mediorientale che ancora oggi affligge il mondo.
L’aria di Antinoo nel terzo atto, il suo personale Discorso della Montagna, è un appello pacifista che potrebbe essere accostato ai più grandi discorsi della storia in difesa del rispetto e dell’amore per l’altro. Alla fine della sua vita, e alla fine dell’opera, Adriano si rende conto che il corso della storia non può essere invertito, che il monoteismo prenderà il sopravvento nonostante i suoi tentativi di evitarlo. Si rende conto che il suo decreto è stato un atto d’odio, eppure ha dovuto rispettare il patto con Plotina. Capisce che questa decisione distruggerà la sua eredità – le sue più grandi realizzazioni, il Pantheon, l’Impero, l’Ordine, tutto ciò per cui ha vissuto. Ma, pochi istanti prima di morire, realizza che il suo vero lascito non è il potere, ma l’amore. E non è forse questo il desiderio più profondo di ciascuno di noi? Lasciare questa vita sapendo di aver amato veramente? Adriano lo fa.
Ironia della sorte, non è stato il genocidio dei giudei a cancellare la sua memoria. La maggior parte delle persone, oggi, conosce Adriano solo per il suo celebre Vallo. Ciò che ha realmente spazzato via la sua eredità, ciò che Wainwright definisce come il suo vero lascito – l’amore, e più precisamente l’amore per un altro uomo – è esattamente ciò che lo ha fatto sparire dalla storia. La sua memoria è stata deliberatamente cancellata, i documenti distrutti, perché il suo amore era considerato improprio, innaturale. Era visto come degenerato, debole, effeminato. Si dice che Adriano pianse come una donna alla morte di Antinoo, e che proprio questo lo rese agli occhi dei suoi contemporanei indegno di essere ricordato – non il fatto che piangesse, ma che lo facesse come una donna.
Rufus Wainwright e Daniel MacIvor hanno riportato in vita questa storia d’amore, riscrivendola nella memoria collettiva. L’amore è la forza più potente e, al contempo, la più fragile della nostra esistenza. La forza non è né maschile né femminile, così come la debolezza non appartiene a un genere: è semplicemente umana. Con Hadrian, Wainwright e MacIvor hanno restituito questa storia all’umanità, mettendola finalmente sul piedistallo che le spetta. Perché tutti, uomini, donne, omosessuali, eterosessuali, non binari, possano emozionarsi e riconoscersi in essa.
Acclamato dal New York Times per la sua “autentica originalità”, Rufus Wainwright si è affermato come uno dei più grandi cantautori, compositori e interpreti della sua generazione. Nato a New York e cresciuto a Montréal, ha all’attivo dieci album in studio, tre DVD e tre album live, tra cui Rufus Does Judy at Carnegie Hall, nominato ai Grammy. Nel corso della sua carriera ha collaborato con artisti del calibro di Elton John, Burt Bacharach, Miley Cyrus, David Byrne, Boy George, Joni Mitchell, Pet Shop Boys, Heart, Carly Rae Jepsen, Robbie Williams, Jessye Norman, Billy Joel, Paul Simon, Sting e il produttore Mark Ronson, solo per citarne alcuni. Ha inoltre composto due opere liriche e numerosi brani per il cinema e la televisione. Nel 2020 ha pubblicato l’album Unfollow the Rules, nominato ai Grammy, un’opera che lo vede all’apice della sua maturità artistica. Nel 2023 ha intrapreso un viaggio alle radici folk della sua famiglia con Folkocracy, anch’esso nominato ai Grammy, in cui reinterpreta celebri brani folk in duo con artisti del calibro di Chaka Khan, Brandi Carlile, John Legend, Anohni e molti altri. Nel marzo 2024 ha debuttato nel West End con il suo primo musical, un adattamento di Opening Night di John Cassavetes diretto da Ivo van Hove, in scena al Gielgud Theatre. Nello stesso periodo ha completato un Requiem, che ha avuto la sua prima esecuzione con l’Orchestre Philharmonique de la Radio France nel giugno 2024. L’opera è stata co-commissionata da importanti istituzioni internazionali, tra cui il Master Chorale di Los Angeles, il Palau de la Música di Barcellona, la Helsinki Symphony Orchestra, la RTE Orchestra in Irlanda e il Royal Ballet di Londra.
La Malta Philharmonic Orchestra (MPO) è la principale istituzione musicale di Malta. Fondata nell'aprile del 1968, nasce dall’unione dei musicisti della Commander-in-Chief Orchestra della flotta britannica del Mediterraneo con la Manoel Theatre Orchestra. Dopo essere stata l’orchestra residente del Teatru Manoel fino al 1997, ha acquisito autonomia come National Orchestra of Malta, diventando nel 2008 un’orchestra sinfonica a tutti gli effetti, con musicisti maltesi e internazionali. Alla guida della MPO si sono alternati Joseph Sammut, Joseph Vella, John Galea, Michael Laus, Brian Schembri e Sergey Smbatyan. L’attuale direttore residente è Michael Laus. L’orchestra collabora con artisti locali come Joseph Calleja, Simon Schembri, Carmine Lauri e Miriam Gauci, e con musicisti e cantanti internazionali tra cui Ray Chen, Diana Damrau, José Cura, Mikhail Pletnev, Camille Thomas, Gautier Capuçon, Daniel Lozakovich ed Enrico Dindo. Con oltre un concerto a settimana, la MPO si dedica a esecuzioni sinfoniche, opere, progetti educativi e iniziative culturali. Negli ultimi anni ha ampliato la propria presenza digitale con programmi online. Ha suonato in Stati Uniti, Russia, Dubai, Germania, Austria, Cina, Italia, Spagna e Belgio, promuovendo anche la musica maltese attraverso l’esecuzione e la commissione di nuove composizioni. Sostiene inoltre la formazione delle nuove generazioni di musicisti maltesi.
Il percorso musicale di Johannes Debus inizia nell’infanzia, quando, ancora bambino, si divertiva a dirigere l’Eroica di Beethoven davanti a uno specchio. Tuttavia, la vera comprensione della direzione d'orchestra arriva a 14 anni, quando assiste a Günter Wand dirigere Bruckner. Affascinato dal potere del gesto e del linguaggio corporeo nel plasmare un’esperienza musicale condivisa, Debus vede la musica come un dialogo vivo tra direttore e orchestra, fondato su fiducia, ascolto e visione. Il suo ruolo, afferma, è quello di creare uno spazio in cui la musica possa emergere in modo naturale e appassionato. La sua carriera professionale inizia nel 1998 alla Oper Frankfurt, dove lavora come maestro collaboratore e Kapellmeister, sviluppando un vasto repertorio. Nel 2009 viene nominato direttore musicale della Canadian Opera Company, contribuendo in modo significativo alla sua crescita e al suo prestigio internazionale. Parallelamente, si dedica con passione alla formazione delle nuove generazioni di musicisti, dirigendo l’accademia orchestrale nordamericana per l’opera a Toronto, guidando la Royal Conservatory Orchestra e tenendo masterclass all’Aspen Music Festival. Direttore ospite molto richiesto, Debus ha collaborato con alcune delle orchestre più prestigiose al mondo, tra cui la Cleveland Orchestra e la Boston Symphony, oltre ad aver diretto l’ORF Radio Symphony Orchestra e la Bayerische Staatsoper. Il suo repertorio abbraccia secoli di musica, da Monteverdi alle opere contemporanee, che considera una porta aperta verso orizzonti sonori inesplorati e senza confini.
Nato ad Amburgo il 26 gennaio 1973, ha studiato regia operistica presso il Conservatorio musicale "Hanns Eisler" di Berlino. È sposato con Rufus Wainwright, di cui gestisce la carriera e produce le opere. Fino al 2016 ha ricoperto il ruolo di consulente artistico del Music Center di Los Angeles, dove ha curato il concerto per il 75° compleanno di Joni Mitchell, poi pubblicato come album e film a livello internazionale. Dal 2012 al 2016 è stato direttore artistico del Luminato Festival di Toronto, commissionando e producendo nuove opere con artisti del calibro di Marina Abramović, Lemi Ponifasio e R. Murray Schafer. In precedenza, Weisbrodt è stato direttore esecutivo di RW Work Ltd., occupandosi della rappresentanza e gestione delle opere di Robert Wilson, nonché direttore del Watermill Center. Ha avuto un ruolo determinante nella produzione di spettacoli come The Life and Death of Marina Abramović e nella tournée mondiale e nella ripresa dell'opera Einstein on the Beach di Robert Wilson e Philip Glass. Dal 2002 al 2007 è stato direttore della produzione artistica della Staatsoper Unter den Linden di Berlino, realizzando spettacoli d'opera contemporanea con artisti come John Bock, Jonathan Meese, Dan Graham, Tony Oursler e Gregor Schneider. Ha inoltre fatto parte della direzione artistica della Staatsoper, collaborando strettamente con il direttore artistico Peter Mussbach e il direttore musicale Daniel Barenboim. Tra i progetti più significativi a cui ha contribuito figurano la prima mondiale della nuova opera Phaedra di Hans Werner Henze, con scenografie di Olafur Eliasson, poi portata in tournée internazionale, e la prima opera europea di Dmitry Cerniakoff al di fuori della Russia. Ha inoltre lavorato alla messa in scena di Tristano e Isotta con il debutto al set design di Herzog & de Meuron e a una nuova opera del compositore francese Pascal Dusapin con il primo allestimento scenico del duo scandinavo Elmgreen & Dragset. Nel 1998 e nel 2000 è stato assistente personale di Robert Wilson, collaborando con prestigiose istituzioni internazionali, tra cui il Metropolitan Opera di New York, il Guggenheim Museum di New York, il Festival di Salisburgo, il Festival d’Automne, il Golden Mask Festival di Mosca e molte altre.
Lighting designer di base a New York è attivo nei settori del teatro, fotografia, stampa, mostre e musica dal vivo. Con una formazione accademica in lighting design teatrale, ha collaborato con alcuni tra i più prestigiosi artisti e creativi del panorama internazionale, tra cui il regista Robert Wilson, il fotografo Steven Klein, le coreografe Lucinda Childs e Trisha Brown, oltre a musicisti del calibro di Drake e Solange Knowles. Tra i suoi progetti più recenti e imminenti figurano Tristan und Isolde al Metropolitan Opera di New York, diretto da Yuval Sharon, PIT dei coreografi Bobbi Jene Smith e Or Schraiber per il Balletto dell’Opera di Parigi, il tour It’s All A Blur di Drake, In Service to Whom di Solange Knowles per il Sydney Volume Festival, Danny and the Deep Blue Sea con Aubrey Plaza e Christopher Abbott Off-Broadway, e Who Is Queen? di Adam Pendleton al Hirshhorn Museum di Washington D.C. Nel mondo della moda, Torres ha firmato le luci per clienti di prestigio come Bottega Veneta, Gucci, Michael Kors, Louis Vuitton e Proenza Schouler, contribuendo a creare atmosfere suggestive e indimenticabili per sfilate ed eventi esclusivi.
Nato nel 1946 nel quartiere di Queens, a New York, nel 1963 si iscrive al Pratt Institute di Brooklyn dove studia disegno, pittura e scultura. In questi anni sperimenta diverse tecniche, realizzando collage con materiali misti e immagini ritagliate da libri e riviste. Nel 1970 riceve in regalo una fotocamera Polaroid e inizia a utilizzare i propri scatti per arricchire le sue composizioni. Tuttavia, è nel 1975, grazie al sostegno del suo mentore e mecenate Sam Wagstaff, che la sua carriera prende una svolta decisiva: con una Hasselblad 500 Mapplethorpe inizia a ritrarre il suo universo artistico e sociale, immortalando amici, musicisti, celebrità e figure dell'underground S&M. Negli anni Ottanta, la sua produzione raggiunge una sintesi perfetta tra audacia e classicità, con composizioni stilizzate di nudi maschili e femminili, eleganti nature morte e ritratti intensi. Sperimenta diverse tecniche, tra cui la fotoincisione, le stampe al platino e le stampe a trasferimento di colore. Nel 1986 gli viene diagnosticata l’AIDS, ma continua a lavorare con straordinaria determinazione, accettando incarichi sempre più ambiziosi. Nel 1988, un anno prima della sua scomparsa, il Whitney Museum of American Art gli dedica la sua prima retrospettiva in un museo statunitense, un riconoscimento che suggella la sua importanza nel panorama artistico contemporaneo. Il suo vasto e provocatorio corpus di opere lo ha consacrato come uno dei più importanti artisti del Novecento. Oggi le sue opere sono esposte in gallerie e musei di tutto il mondo, mentre il suo lascito continua a vivere attraverso la Robert Mapplethorpe Foundation che ne preserva la memoria e ne promuove la visione.
Tra i maggiori mezzosoprani della sua generazione, è regolarmente invitata nei più prestigiosi teatri del mondo (Metropolitan di New York, Royal Opera House Covent Garden di Londra, Teatro alla Scala di Milano, Teatro Real di Madrid, Liceu di Barcellona, Bayerische Staatsoper etc.) dove collabora con direttori quali Riccardo Chailly, Riccardo Muti, Myung-Whun Chung, Daniele Gatti, Antonio Pappano, Daniel Barenboim. A seguito dei suoi successi, nel 1999 i critici musicali italiani le assegnano il Premio Abbiati. Tra i numerosi ruoli interpretati – molti dei quali incisi in CD o DVD – si ricordano: Rosina ne’ Il Barbiere di Siviglia, Angelina ne La Cenerentola, Ermione, Elisabetta regina d’Inghilterra, Romeo ne’ I Capuleti e i Montecchi, Adalgisa in Norma, Leonora ne’ La Favorita, Zaide in Dom Sébastien, Giovanna Seymour in Anna Bolena, Elisabetta in Maria Stuarda, Idamante in Idomeneo, Donna Elvira in Don Giovanni, Eboli in Don Carlo, Charlotte in Werther, Carmen, Marguerite in La Damnation de Faust, Fenena in Nabucco, Amneris in Aida, Isoletta ne La Straniera, Cuniza in Oberto Conte di San Bonifacio. All’impegno operistico alterna un’intensa attività concertistica nelle più prestigiose sale da concerto: Stabat Mater di Rossini al Concertegebow di Amsterdam e all’Avery Fisher Hall di New York, al Teatro alla Scala di Milano, il Requiem di Verdi presso la Philharmonie di Berlino e il Teatro alla Scala diretta dal M° Barenboim, presso l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia diretta dal M° Pappano, al Teatro San Carlo di Napoli diretta dal M° Muti e Parma diretta dal M° Temirkanov. Tra i suoi impegni si ricordano: Roberto Devereux a Madrid Monaco e Genova, Don Carlo a Monaco e Tokyo, Nabucco a Roma e Salisburgo, Oedipus Rex a Parigi, diretta da Daniele Gatti, e all’Accademia di Santa Cecilia di Roma, Aida a Marsiglia, Madrid, Napoli e Macerata, Anna Bolena a Vienna, Norma a Lione, Parigi, Siviglia, Berlino, Carmen a Genova, Maria Stuarda a Verona, Capuleti e Montecchi a Venezia, La Straniera a Berlino, Le Cid a Parigi, Carmen a Genova, Anna Bolena a Vienna, Norma a Parigi e Berlino, Cavalleria rusticana a Dresda, Palermo e Genova, una nuova produzione di Norma a Londra, Anna Bolena a Marsiglia e a Parma, il suo ritorno al Teatro alla Scala di Milano in Anna Bolena, Don Carlo a Marsiglia, La Favorite a Liegi, Fra Diavolo a Roma e Palermo, Roberto Devereux a Parma, Enrico di Borgogna al Festival Donizetti di Bergamo. Recenti e futuri impegni: La fille du régiment a Bari e a Napoli, Il cappello di paglia di Firenze a Genova, Werther a Venezia e Reggio Emilia, La Favorite a Palermo, Macbeth a Cagliari, Mozart Requiem all’Arena di Verona, Cavalleria rusticana a Bologna, Reggio Emilia, Stoccarda, Verona, Dresda e Valencia, la Messa di Requiem di Verdi a Valencia, Stoccarda e Lisbona, Anna Bolena e Beatrice di Tenda a Genova, Adriana Lecouvreur a Parma e Gianni Schicchi a Roma.
Il tenore argentino-italiano Santiago Ballerini è riconosciuto come uno dei più raffinati interpreti del repertorio belcantistico, acclamato sulle scene dei principali teatri d’opera del Nord e Sud America, tra cui il Teatro Municipal de Santiago, il Teatro Colón di Buenos Aires, la Canadian Opera Company, l’Ópera de Bellas Artes e la Dallas Opera. Il suo talento lo ha portato a esibirsi anche nei più prestigiosi teatri europei come il Teatro Regio di Torino, l’Opéra National de Bordeaux, il Teatro Real di Madrid e il Gran Teatre del Liceu di Barcellona. Nella stagione 2024/25 farà ritorno alla Atlanta Opera per interpretare Tamino ne Il flauto magico. Sarà inoltre protagonista in Spagna nel ruolo di Alfredo Germont in una produzione de La Traviata e di Fernando in Doña Francisquita. La stagione lo vedrà anche impegnato in tre esecuzioni del Carmina Burana di Carl Orff, con la Real Orquesta Sinfónica de Sevilla, l’Orquesta y Coro de la Comunidad de Madrid e al Teatro Petruzzelli di Bari. Tra gli altri appuntamenti di rilievo, spiccano la sua partecipazione al Teatro Filarmonico di Verona per La Passione di Gesù Cristo di Salieri e un’imponente esecuzione della Messa dell’Incoronazione di Mozart nella maestosa Cattedrale di Granada, accompagnato dall’Orquesta Ciudad de Granada. Nel suo repertorio spiccano alcuni dei ruoli più iconici del Bel Canto, tra cui Ernesto in Don Pasquale, il Conte d’Almaviva ne Il Barbiere di Siviglia, Don Narciso ne Il turco in Italia, Lindoro ne L'italiana in Algeri, il Cantante Italiano in Der Rosenkavalier, Jünge Graf in Die Soldaten, Nemorino ne L'elisir d'amore e Tonio ne La fille du régiment.
Classe 1994, è attualmente dottoranda presso l'Accademia delle Arti Musicali di Praga e ha conseguito il master alla Mannes School of Music di New York grazie al supporto di numerose borse di studio, tra cui quelle del Ministero della Cultura della Repubblica Ceca. Durante il suo soggiorno a New York, ha partecipato al Mannes Sounds Festival, esibendosi in prestigiosi palcoscenici come la Weill Recital Hall della Carnegie Hall, e ha collaborato regolarmente con il Centro Ceco NY. Per il suo impegno nella promozione della cultura ceca negli Stati Uniti, ha ricevuto il Gold Crystal Heart Award. Vincitrice di numerosi concorsi di canto lirico, Kůstková è stata premiata come miglior studentessa dell'Accademia delle Arti Musicali nel 2022. Nel 2024 ha ottenuto il secondo premio al concorso di canto del Teatro Lirico Sperimentale e, durante la 78a stagione, è stata Anita Garibaldi nell’opera Anita di Gilberto Cappelli e Vanda nella Smorfia di Bruno Bettinelli, ricevendo anche il Premio Spoleto Gioielli per la stagione. Parallelamente all'opera, si dedica all’attività concertistica ed è attiva sui palcoscenici della Repubblica Ceca, tra cui il Teatro Nazionale di Praga e il Teatro Moraviano di Olomouc. Tra i ruoli da lei interpretati figurano Pamina e la Prima dama (Il flauto magico, Mozart), Musetta (La Bohème, Puccini), Gretel (Hansel und Gretel, Humperdinck), la Prima Nympha (Rusalka, Dvořák) e Kaťuška (Il muro del diavolo, Smetana).
Nato nel 1989, da adolescente studia pianoforte e violino e dal 2015 intraprende gli studi di canto al conservatorio di Perugia, perfezionandosi con il maestro Anatoli Goussev. Ha frequentato masterclass con Mariella Devia, Roberto De Candia, Marina Comparato, Donata D’Annunzio Lombardi, Enza Ferrari e Raffaele Cortesi. Fa il suo debutto nel Flauto magico allestito da Europa InCanto al Teatro Argentina di Roma e al Teatro di San Carlo a Napoli. Si classifica terzo alla 74a edizione del concorso di canto dello Sperimentale. Nel 2020 è il Duca di Mantova nel Rigoletto diretto da Marco Boemi, nel 2021 Pinkerton nella Madama Butterfly diretta da Carlo Palleschi, nel 2022 Don Ottavio nel Don Giovanni con la regia di Henning Brockhaus e nel 2024 Dottor Polcevera in Procedura penale, Luigi del Fante nella Smorfia e Malcolm in Macbeth. Ha interpretato la parte di Schmidt nel Werther di Massenet, allestito da AsLiCo nella stagione 2020/2021 presso il Teatro Sociale di Como, il Teatro Grande di Brescia e il Teatro Comunale di Modena. Nel 2024 è Nemorino nell’Elisir d’amore in qualità di vincitore della terza edizione del Concorso “G. Aliverta” e Rinuccio in Gianni Schicchi al Teatro Coccia di Novara. Collabora con diversi ensemble di musica antica, come Anonima Frottolisti, l’ensemble I Trobadores e il coro Cremona Antiqua diretto da Antonio Greco, con il quale ha partecipato a diverse produzioni all’interno del Monteverdi Festival di Cremona.
Classe 1997, inizia lo studio del canto giovanissimo e dal 2016 studia al Conservatorio di Latina. Attualmente si sta perfezionando col tenore William Matteuzzi. Dal 2019 è studente dell’Accademia musicale Chigiana. Nel 2022 è ammesso ai Corsi di Alto perfezionamento dell’Accademia del Belcanto “Rodolfo Celletti” di Martina Franca. Nel marzo 2023, è vincitore della 77a edizione del Concorso “Comunità Europea” del Teatro Lirico Sperimentale. Debutta nel maggio 2019 e da allora si esibisce in numerosi teatri italiani e internazionali, tra cui il Teatro dei Rinnovati e dei Rozzi di Siena, il Teatro San Carlo di Napoli, l'Auditorium Parco della Musica di Roma, il Teatro Nuovo di Spoleto e lo Sheikh Jaber Al-Ahmad Cultural Centre in Kuwait. Tra i ruoli interpretati: il Conte d’Almaviva (Il barbiere di Siviglia, Paisiello), Edoardo (La Cambiale di Matrimonio, Rossini), Don Ottavio (Don Giovanni, Mozart), il Conte Alberto (L’occasione fa il ladro, Rossini), Don Ramiro (La Cenerentola, Rossini), Ferrando (Così fan tutte, Mozart), Alessandro (Il Re pastore, Mozart), Tamino (Il flauto magico, Mozart), Pang (Turandot, Puccini), Il Dottor Sinisgalli (I due Timidi, Rota), Un Onorevole (Gli occhi di Ipazia, Manzoni), Bill (A Hand of Bridge, Barber), Peter Quint/Prologo (The Turn of the Screw, Britten), Dottor Polcevera (Procedura Penale, Chailly), Adone Vigorelli (La Smorfia, Bettinelli), Macduff e Malcolm (Macbeth, Verdi).
Nato nel 2002 a Terni, inizia lo studio della musica lirica giovanissimo e attualmente studia con il baritono Marzio Giossi. Nel 2018 ha cantato al Terme Classic Festival di Chianciano Terme. Durante il suo percorso artistico si è esibito in numerosi concerti, tra cui Le memorie di Adriano, un evento di raccolta fondi per i bambini in Uganda che si è svolto presso il CET di Mogol, con la presenza straordinaria di Terence Hill. A settembre 2023 partecipa alla 23a edizione del Festival Verdiano al Teatro Girolamo Magnani di Fidenza e in ottobre, in occasione dei mondiali paralimpici di scherma, canta l’Inno di Mameli al Palazzetto dello sport di Terni, per la vittoria della schermitrice italiana Bebe Vio. Nel 2024 si classifica terzo al Concorso “Comunità Europea” del Teatro Lirico Sperimentale. Nel mese di marzo ha partecipato con una piccola interpretazione nel programma Viva Rai 2 e sul magazine ufficiale della Rai, Radiocorriere Tv, a Roma, presentato da Rosario Fiorello. In aprile è Il Conte di Monterone nel Rigoletto di Giuseppe Verdi, al Palazzo Gazzoli di Terni. A settembre è Banco nel Macbeth di Giuseppe Verdi, l’opera protagonista della tournée regionale del Teatro Lirico Sperimentale che si è tenuta a Spoleto e nei principali teatri dell’Umbria. Recentemente ha partecipato al concerto Sogno d’amor nella basilica di Terni, per omaggiare il patrono San Valentino.
Nato a Mesagne, in provincia di Brindisi, nel 1996, si avvicina al canto a quattordici anni. Studia al Conservatorio “N. Rota” di Monopoli, dove si laurea con lode e menzione d’onore sotto la guida del M° Massimiliano Chiarolla. È vincitore di numerosi concorsi tra cui Spoleto, Maggio Musicale Fiorentino, EurOrchestra di Bari, Concorso “Fausto Ricci” e finalista all’AsLiCo di Como. Ha debuttato in ruoli principali e da secondo tenore come Pinkerton, Calaf, Alfredo, Cassio, Bardolfo, Nemorino, Macduff, Pong, Goro, Spoletta, Raimondo, Gastone, in teatri quali il Maggio Musicale Fiorentino, Teatro Carlo Felice di Genova, Teatro Verdi di Trieste, Teatro Coccia di Novara, Teatro Gian Carlo Menotti di Spoleto. Ha collaborato con direttori come Mehta, Gatti, Palumbo, Jordi Bernàcer, e registi tra cui Davide Livermore, Michieletto, Zhang Yimou, Popolizio. Prossimi impegni: Hadrian a Spoleto, Malcom al Teatro Sferisterio di Macerata e il Gala lirico nello stesso teatro.
Classe 1989, nasce a Gagliano del Capo, in Salento. Si diploma in canto lirico al Conservatorio “S. Cecilia” di Roma. È vincitore del primo premio al Concorso Internazionale “Dinu Lipatti” nella categoria canto lirico.
Nel 2024 interpreta Alfredo ne La traviata di Verdi e nel 2025 Calaf in Turandot di Puccini al Teatro Ivelise, al Teatro La Salette e al Teatro Regina Pacis di Roma, distinguendosi per il timbro brillante e la forte presenza scenica.
Ha collaborato con il Teatro Regio di Parma in occasione del Festival Verdi 2024 (Un ballo in maschera, Verdi) e svolge regolare attività concertistica presso la Cappella Musicale Liberiana (Basilica di Santa Maria Maggiore, Roma) e la Cappella Ludovicea (Ambasciata di Francia presso la Santa Sede).
Affronta con versatilità il repertorio operistico, sacro e cameristico, spaziando dal Belcanto al Novecento. Affianca alla formazione musicale classica anche studi di recitazione e danza, che arricchiscono il suo approccio scenico e interpretativo.
Classe 1997, nasce a Cerreto Sannita. Dopo gli studi classici, si laurea in canto lirico al conservatorio “G. Martinucci” di Salerno. Attualmente frequenta il Biennio in Canto Lirico – Teatro Musicale, presso lo stesso conservatorio, sotto la guida del maestro Filippo Morace. Dal 2018 si esibisce come artista del coro e come solista al Teatro Umberto Giordano di Foggia, al Teatro Mecadante di Cerignola, al Teatro Verdi di Salerno, prendendo parte a numerose tournée in Europa. Al teatro salernitano, interpreta nel 2018 il Marchese d’Obigny (La traviata, Verdi) e, nel 2020 e nel 2023, Pritschitsch (La vedova allegra, Lehár). Nel 2024 canta come Shaunard nella Bohème di Puccini al Teatro Rendano di Cosenza, al Teatro Brancaccio di Roma, al Teatro Arena Domma di Acilia, al
Teatro Verdi di Pisa, con il progetto “Opera Lab Edu”. Nel 2024, inoltre, canta al Teatro Verdi di Salerno e al Teatro Arena Domma nel ruolo di Belcore (L’elisir d’amore, Donizetti).
Classe 1996, è nato a Roma. Affianca lo studio del canto lirico a quello della composizione presso il Conservatorio di Santa Cecilia. Vincitore del concorso internazionale “Spazio Musica”, debutta al Teatro Mancinelli di Orvieto nell’opera Un ballo in maschera di Verdi. Come solista, ha collaborato con importanti istituzioni musicali, tra cui l’Accademia Filarmonica Romana, l’Oratorio del Gonfalone, l’Accademia di Villa Massimo e il festival Trevignano Proms. Dal 2023 è membro del coro del Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto, con cui ha preso parte alle produzioni di Turandot, Anita e Macbeth, ricoprendo in quest’ultimo anche un ruolo da comprimario. È inoltre Maestro cantore della Cappella Musicale Liberiana della Basilica di Santa Maria Maggiore e della Cappella Ludovicea a Roma. Svolge inoltre un’intensa attività corale, esibendosi tra l’altro all’Arena di Verona, alle Terme di Caracalla, a Palazzo Te di Mantova e all’Arena di Nîmes.