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Serial Plaideur

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Teatro

Sinossi

Il famoso avvocato francese Jacques Vergès sale sul palcoscenico per dirci che difendere è un modo di vivere. Ci spiega che durante un processo, sotto i nostri occhi si svolge un vero e proprio dramma, un duello fra l’accusa e la difesa. L’avvocato e il pubblico ministero raccontano due storie non vere ma verosimili. E quando anche l’ultima eco dell’eloquenza è svanita, nell’aula non si tratta tanto di affermare il diritto alla verità, quanto di proclamare il vincitore.
Si può affermare dunque che la verità non è alla portata della Giustizia?

Caio Melisso 10 luglio ore 18.30
INCONTRO con Jacques Vergès

Jacques Vergès
Nato nel 1925 a Ubon Rachtani (nell’attuale Thailandia) da padre di Réunion e madre vietnamita. Fin dall’adolescenza è molto sensibile alle questioni politiche, e una volta ottenuto il diploma superiore lascerà l’isola di Réunion per unirsi alla Resistenza in Francia. Nel 1945 aderisce al Partito Comunista Francese, che lascerà nel 1957. Si laurea in giurisprudenza, e la sua attività di avvocato sarà sempre influenzata dalle sue posizioni politiche. Dal 1970 al 1978 è letteralmente sparito, e non ha mai voluto rivelare dove avesse trascorso quegli anni, sebbene si sia ipotizzato che potesse trovarsi in Libano, a Mosca o a collaborare con i khmer rossi di Pol Pot.
Noto per il suo anticolonialismo, nella sua carriera ha difeso i guerriglieri algerini come Djamila Bouhired, il criminale di guerra nazista Klaus Barbie, il terrorista Carlos, impostando le sue difese in modo del tutto originale: il processo definito “di rottura” vede l’accusato mettere sotto accusa coloro che lo processano, chiamando l’opinione pubblica a testimoniare.

(da una intervista di Frédéric Franck a Jacques Vergès)

Una scena di teatro è esattamente il luogo dove possono svolgersi i processi impossibili nella realtà. Se dopo la guerra si fosse potuto celebrare il suo processo, avrebbe accettato di difendere Adolf Hitler? E se sì, a cosa sarebbe potuto assomigliare un processo di rottura (n.d.t., un processo in cui l’accusato si fa accusatore e chiama a testimone l’opinione pubblica) nei confronti di un uomo simile, che avrebbe avuto in primo luogo fra i capi d’accusa il concetto di “soluzione finale”, lo sterminio degli ebrei d’Europa, degli omosessuali, dei gitani?
Difendere Hitler è ovviamente il sogno di qualsiasi avvocato degno di questo nome, di un artista giudiziario e non di un esperto dell’arrampicata sociale. E per istruire il suo caso, ci si dovrebbe basare non su Mein Kampf, opera di circostanza e luogo comune di tutti i razzismi dell’epoca, ma sulle conversazioni raccolte con precisione da Martin Bormann, dalle quali viene fuori un eroe dostojveskiano, un posseduto, uno Stavrogin in grado di realizzare tutte le sue sfide alla morale corrente, più preoccupato dell’estetica che della razionalità. E’ il genere di personaggio ambiguo fatto per dare origine ai miti più contraddittori.

Aprile 2009: Osama Bin Laden viene catturato nelle montagne pachistane nella zona di confine dell’Afghanistan dall’esercito americano. Non oppone alcuna resistenza. La sceglie come avvocato difensore. Accetta? Quale processo di rottura per l’uomo dell’undici settembre? Come penserebbe di difenderlo?
Accetterei di sicuro. In questo caso la difesa è semplice. Voi occidentali occupate materialmente parte della comunità dei musulmani e spiritualmente la totalità, visto che capi di stato e re sono pedine nelle vostre mani. Noi portiamo la guerra da voi come voi la portate da noi. E gli attentati che noi commettiamo non sono diversi dai bombardamenti e dagli embargo di cui sono vittime i civili da noi.

Una notizia, dopo l’invasione dell’Iraq da parte dell’esercito americano, diceva che in un paese dell’Africa del Nord si pensava a un processo contro l’uomo più potente del mondo, il presidente americano George W. Bush. Un processo simile oggi è evidentemente impossibile, tranne che in un solo posto al mondo: una scena di teatro. Di più, non di in un teatro di stato, ma di un teatro privato, il Théâtre de la Madeleine. Lei ha dichiarato che assumerebbe anche la difesa di Bush. Come imposterebbe la sua difesa? Come spiegherebbe l’intervento in Afghanistan, l’intervento in Iraq e il campo di Guantanamo? Anche in questo caso, come sarebbe un processo di rottura contro George Bush?
Il processo Bush non può essere un processo di rottura, perché la sua azione corrisponde alla morale dell’Occidente. C’è un mondo del Bene, il nostro, e un mondo del Male, quello degli altri, e la terra è troppo piccola perché possano coesistere. E’ necessario che uno dei due scompaia. Dal momento che siamo noi i più forti sarà il mondo degli altri. E non c’è da stupirsi che i nostri metodi non corrispondano a quello che dichiariamo di credere, poiché in una situazione di guerra non vigono le stesse regole che scandiscono la normalità.

Ci sembra che uno dei fili conduttori della sua opera di avvocato attraverso i suoi incarichi successivi e contraddittori siano le pressanti domande rivolte alle certezze e alla buonafede del mondo occidentale. E’ come se lei obbligasse i potenti del mondo a guardarsi in uno specchio. Nel ripensare alla sua vita, non è questo che l’ha guidata? Consapevolmente o inconsapevolmente? Oppure questa è una visione troppo riduttiva?
Come Tolstoi è stato secondo Aragon lo specchio della rivoluzione russa e Chrétien de Troyes quello della società feudale, dei suoi costumi, delle sue grandezze e delle sue debolezze, i processi sono effettivamente lo specchio della nostra società. Ogni epoca ha lo specchio che si merita, ma c’è della Bellezza nell’orrido e Goya non è meno umano di Raffaello.

L’approccio ludico ed estetizzante che le è proprio rivela una distanza riguardo alla ricerca della verità? E se sì, è perché ai suoi occhi non c’è verità? O piuttosto perché ai suoi occhi coesistono allo stesso tempo riguardo alla stessa azione una pluralità di verità, nessuna delle quali lo è più delle altre?
Dovrei citare Pascal: “Verità di qua dai Pirenei, errore al di là”. Nessuna verità può emergere da un processo, perché più importante dei fatti è l’uomo e quell’uomo sfugge alle lenti offuscate dei nostri giudici, alla logica binaria degli interrogatori. Da questo viene la bellezza ambigua dei personaggi nei processi riusciti, pronti a tutte le metamorfosi. Giovanna d’Arco, comandante di soldati, diventa strega, poi santa; il contrabbandiere Mandrin diviene un cavaliere senza re; Raymond la Science non è lo stesso agli occhi di un banchiere e agli occhi di un proletario.

Quando lei sostiene che il ruolo dell’avvocato arriverebbe fino a dare un senso alla vita dell’accusato, non si rivela un insospettato umanista?
Se si intende per umanesimo il fatto di considerare l’uomo come fine unico, sono un umanista. Ma quando l’umanesimo diventa umanitarismo e l’umanitarismo dà il diritto di giudicare gli altri sulla base dell’immagine ideale che si ha di sé, non sono un umanista. Il vero umanista è un pacifista. L’umanitarista, un aggressore in buonafede.

Crediti

Programma

Prima italiana

di e con Jacques Vergès

Lo spettacolo è andato in scena
al Théâtre de La Madaleine - Paris, 21 settembre 2008

Produzione
Théâtre de la Madeleine, Paris
in collaborazione con
Spoleto52 Festival dei 2Mondi

Spettacolo in francese con sopratitoli in italiano

Programma di Sala

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Date & Biglietti

INFO BIGLIETTERIA
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Teatro Caio Melisso Spazio Carla Fendi
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