© Spoleto Festival dei Due Mondi - Foto di Andrea Veroni

Umberto Orsini

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Umberto Orsini
Così recito e così sono (se vi pare)
di Rodolfo Di Giammarco – Il Venerdì

A 91 anni, Umberto Orsini torna sul palcoscenico con Prima del Temporale, spettacolo-memoir che debutta al Festival dei Due Mondi di Spoleto. Attore solitario, capocomico da quindici stagioni e protagonista di oltre sessant’anni di teatro, Orsini si racconta tra ricordi personali e riflessioni su un mestiere che definisce “un’anomalia”.
Nato a Novara, cresciuto accanto alle risaie più che tra la mondanità, Orsini ha attraversato stagioni memorabili: dagli esordi con Il diario di Anna Frank alla Compagnia dei Giovani, alla lunga storia con il Teatro Eliseo di Roma, fino alle collaborazioni con registi come Visconti e Ronconi. Nel suo studio, tra le locandine e i manifesti che evocano vite e spettacoli passati, l’attore ripercorre l’infanzia, gli incontri, le occasioni mancate – come il ruolo ne Il sorpasso – e le amicizie più care, da Corrado Pani a Rossella Falk.
Prima del Temporale, nato da un’idea condivisa con Massimo Popolizio, intreccia frammenti di autobiografia, aneddoti e affetti perduti, in una confessione scenica che Orsini vorrebbe intima come una cena tra amici. E in cui, con la sua voce pacata, rivendica il diritto di commuoversi, di sentirsi sopravvissuto e di continuare, a novant’anni, a cercare nel teatro un luogo di verità.

Nel 2019 ha pubblicato l'autobiografia Sold Out, ora il nuovo testo Prima del Temporale ha l'aria di un biopic in parte ricavato dalle pagine del volume sulla sua vita...
«Considerando l'età che ho, e tenendo conto dell'autoritratto scritto io che può sembrare narcisistico un mio memoir dal vivo, ma il titolo testimonia un progetto che da tempo era nell'aria: allestire un Temporale strindberghiano con messinscena di Popolizio e nove interpreti, altra idea azzerata per la pandemia. Massimo m'ha spinto allora a raccontare la mia esistenza, con qualche dialogo scambiato con due figure appartenenti alla quotidianità del mio mestiere, facendo leva, sì, su spunti da Sold Out, ma anche riflettendo liberamente, visto che il 70 per cento della mia vita non è nel libro. Altro interrogativo è: a chi raccontare di sé? Ecco la scelta di una sarta e un addetto del teatro, i due personaggi in scena con me».

Avrà modo di indagare nella sua gioventù a Novara: suo fratello, pubblicitario, è uno dei responsabili dell'omino coi baffi per Bialetti e nelle sue relazioni clamorose con artiste del mondo dello spettacolo. Ma che tipo di bilancio ricostruirà?
«Non avevo una forte tendenza a fare l'attore, e invece recito. M'hanno attribuito doti di fascino, e oggi ho il collo grinzoso. Sono apparso un prototipo, ma mi giudico un anomalo. Se per prodigio le persone che ho amato e che sono scomparse si ritrovassero ora con me, io mi sentirei un sopravvissuto da Posto delle fragole perché sono tutti morti in età più giovane: Visconti a 70 anni, Valli a 66, Patroni Griffi a 80, Falk a 84, Pani a 70. Poi io non mi sento un Sordi italiano che ha rispecchiato varie epoche. Ho una natura solitaria. Quasi col sospetto di rapportarmi di più alle risaie del Piemonte dove sono nato».

C'è un aneddoto che rivela un mancato destino della sua vita?
«Credo di sì. Quando sono andato a Castiglioncello per pubblicizzare Sold Out qualcuno mi ha fatto un regalo tardivo, mostrandomi un piano di produzione de Il sorpasso di Risi dove accanto a Gassman, al posto di Trintignant, figurava il mio nome, che poi, mi spiegarono, fu sostituito da quello dell'attore francese per ragioni di coproduzione. Fui gratificato, dopo, dalla chiamata di Visconti per La caduta degli dei

E quale gesto ha invece favorito la sua carriera?
«Il produttore Buffardi, genero di Totò, aveva visto il mio film con Mina, scoprendo che piacevo molto alle ragazze, e si propose di sostenere un'altra pellicola a condizione che io trovassi il regista. A Roma frequentavo Caprioli, Valeri, Flaiano e Patroni Griffi, e chiesi a quest'ultimo di fare cinema per la prima volta, con Il mare, suggerendogli parte del soggetto...»

Che cosa suggerì?
«Una vicenda ambientata a Capri. Il mio personaggio attende lì Rossella Falk, che invece comunica che non viene più. Mi vedono piangere in Piazzetta vicino al telefono pubblico, lì passa una donna bellissima, Françoise Prévost, che somiglia a Rossella, e ho una storia con lei, contendendomela con Dino Mele. Un Jules e Jim al contrario. Fu un insuccesso clamoroso in Italia. Le Monde lo giudicò il più bel film della Mostra di Venezia. Piacque in Francia, e si replicò un anno intero a Londra in un cinema di Oxford Circus. Per me fu l'occasione di conoscere tanti artisti inglesi.»

Lei ha avuto un rapporto privilegiato con la lingua britannica...
«Io ho sempre avuto riferimenti oltremanica. Il mio modello è la rapidità e la secchezza d'un parlato senza intonazioni, di struttura moderna, al quale mi introdusse Enrico Maria Salerno quando facemmo Chi ha paura di Virginia Woolf? con la regia di Zeffirelli. In Gran Bretagna ho stretto rapporti con Ian MacKellen, Ralph Fiennes, Judy Dench, Tom Courtenay. Ero tra il pubblico al battesimo del classico del palcoscenico Ricorda con rabbia

Nel film Il mare mostrava una commozione vera. Ha mai pianto, in genere, sul lavoro?
«Ricordo tre volte, durante prove teatrali o di set. Quando Giorgio De Lullo allestiva Il buio in cima alle scale di Inge, poi quando Luca Ronconi preparò Besucher di Botho Strauss, e infine quando Luchino Visconti curò le riprese dei film Ludwig

Pensa che un artista abbia diritto a manifestare umanità, o la giudica una perdita di controllo?
«In me a esprimere una forma d'umanità è il corpo che cambia e invecchia: quindi è una questione fisiologica, e direi che la tecnica non c'entra.»

È noto che la sua comfort zone di cordialità e condivisione emerge soprattutto durante le cene dopo gli spettacoli. Con Prima del Temporale non vorrebbe creare un clima di scambio già sul palcoscenico?
«Mi piacerebbe essere senza filtri, come se si fosse tutti seduti attorno a un tavolo, per citare vecchi aneddoti. Ad esempio il bagno Marinella a Ostia, pieno di pettegoli, dove mi portava Arbasino con la sua MG aperta: al ritorno rischiai di morire sotto la doccia per le esalazioni della caldaia a gas e mi salvò un coinquilino. O riproducendo i suoni gioiosi del Musichiere. O prendendomi in giro, io che da novantenne rifaccio L'uomo dal fiore in bocca come quando a 21 anni lo interpretai per l'ammissione in Accademia. E mi soffermo poi su alcuni affetti...»

Quali?
«L'affiatamento con Corrado Pani, ad esempio. Mi manca tanto, Corradino, le sue telefonate, come ridevamo, come mi sfotteva, le sue volée a rete, come mi fregava a poker. E poi: quando facevo L'Urlo di Pippo Delbono e si confidò con me una sua attrice poi morta suicida. I discorsi fatti con Vittorio Gassman quando concordammo che attori come Salvo Randone e Gianni Santuccio andavano aiutati. Santuccio, che una volta lasciò un posto in platea a una prostituta che lo aveva lusingato, venne a vedermi più volte in Amadeus per ascoltare il Requiem di Mozart e lasciò detto che alla sua morte voleva lo si suonasse. E così fu. E dopo aver ballato sotto le gambe alte sei metri della mia Ellen Kessler, quelle dello spot Omsa che gambe!, chiudo Prima del Temporale lasciando parole di tenerezza per l'ultima Rossella Falk. Guidai la sua Chevrolet azzurra quando per una mia rivincita tornai a Novara, con la racchetta, per giocare al Circolo del Tennis dove da liceale non ero riuscito a entrare. A proposito di Rossella: durante i suoi ultimi momenti fingevo di usare ancora l'accento piemontese come quando lei mi correggeva durante i nostri primi anni insieme. Poi sipario. E a quel punto sono pronto per mettere in scena quel famoso Temporale di Strindberg. Che invece non si vedrà.»