«Ha sempre avuto qualcosa di molto emotivo per me. Quando in un brano musicale entra il sitar, ti colpisce sempre». Lo ascoltava ancora prima di nascere e ha iniziato a suonarlo a sette anni seguendo le orme del padre Ravi, leggenda della musica indiana: per Anoushka Shankar il sitar è passato, presente e futuro.
È lo strumento principe della musica classica indiana, con il quale ha debuttato a New Delhi a tredici anni per poi affiancare il padre sui palcoscenici di tutto il mondo. Ma è anche la sua chiave per costruire un linguaggio musicale inaudito, riscoprendo quella stessa tradizione musicale attraverso le sonorità elettriche e l’apertura verso tutti i generi: pop, rock, blues, soul, country, folk.
Per questo il mondo l’ha incoronata regina del sitar, e le ha aperto le porte a collaborazioni tanto diverse quanto folgoranti, da Nina Simone a Sting, passando per Madonna, Elton John e Peter Gabriel.
Prima musicista indiana a essersi esibita live ai Grammy Awards, è regolarmente ospite delle più prestigiose sale da concerto, fra cui la Carnegie Hall di New York, il Barbican Centre di Londra, la Wiener Konzerthaus, la Salle Pleyel e il Théâtre des Champs-Elysées di Parigi.
Sostenitrice del dialogo interculturale e dei diritti delle donne in India, è stata insignita di numerosi premi prestigiosi. È la prima giovane donna ad aver ricevuto l’House of Commons Shield dal Parlamento britannico.
A Spoleto Shankar arriva accompagnata al clarinetto e tastiere da Arun Ghosh, al contrabbasso da Tom Farmer e alla batteria e percussioni da Sarathy Korwar, una band di straordinari musicisti che danno al suo repertorio un sound dinamico e multiforme. Il suo ultimo album Chapter III: We Return To Light, terzo della trilogia, riporta la musica a echi ancestrali e al tempo stesso traccia un percorso per le moderne sonorità indiane. Un viaggio che dalla leggerezza di un pomeriggio estivo, dalla tranquillità di una notte che richiama il grembo materno, conduce fino al calore del mattino, simbolo di forza, saggezza e cambiamento. In “We Return to Light”, i nostri piedi incontrano l'acqua, segnando la fine di un percorso, un ritorno all'amore e un luogo di riposo: una conclusione perfetta e radiosa della trilogia.
sitar Anoushka Shankar
clarinetto e tastiere Arun Ghosh
contrabbasso Tom Farmer
batteria e percussioni Yusuf Ahmed
sound design James Campbell, John Ducket
luci Eric Collignon
Spettacolo realizzato con il contributo della Camera di Commercio dell'Umbria
Con il patrocinio dell'Ambasciata Britannica a Roma
prima italiana
INFORMAZIONI
Si avvisa che le date e gli orari potranno subire variazioni.
Per aggiornamenti consultare il sito www.festivaldispoleto.com
La profetessa del sitar: Anoushka Shankar
Testo di Alceste Ayroldi
Non si può fare a meno di iniziare a parlare di Anoushka Shankar senza cadere nella banalità della frase: è figlia d’arte. Non se ne può fare a meno perché, se è vero che Ravi ha diffuso (mercé George Harrison e Woodstock) il suono del sitar nel mondo e dato una nuova linfa musicale al movimento degli hippie degli anni Settanta, è altresì vero che ha marchiato a fuoco le lettere della musica e dello strumento nell’animo della amata figliola.
Ciò doverosamente premesso, il sitar è oramai entrato a far parte anche della cultura occidentale, complice la globalizzazione (che qui è da lodare) tanto da lasciarsi ascoltare in brani chill out, rock, pop e persino techno; senza contare che in Wherever I May Roam dei Metallica fa bella mostra un intro di sitar.
Il cordofono in questione è uno strumento importante della musica classica indiana che, a quanto gli storici ci insegnano, deriva dal setar iraniano e fa l’occhiolino alla cetra e alla lira.
Diciotto corde in tutto (sette superiori e undici inferiori) lo rendono di non semplice utilizzo e apprendimento: occorre avere anche una coscienza filosofica per approcciare a codesto strumento, che non è alla portata di tutti.
Il sitar viene suonato utilizzando un plettro (chiamato mizrab) che si indossa sul dito indice della mano destra. Il mizrab è generalmente fatto di metallo e permette di pizzicare le corde con precisione.
Non è il caso, in questa sede, di approfondire ulteriormente, ma questa premessa è utile per sottolineare la bravura e la sensibilità di Anoushka Shankar, della quale è bene subito dire che è la stepsister (in inglese ha delle tinte molto meno aggressive rispetto all’italiano) di Norah Jones (Ravi ebbe una relazione con la cantante Sue Jones). Le due sorelle hanno collaborato anche nell’album Traces of You (2013), con Norah Jones presente in tre splendidi brani.
La Nostra è londinese e partecipa attivamente alla scena made in London, sicuramente la più vivace al momento dal punto di vista delle proposte musicali innovative. Nonostante la giovane età, ha già pubblicato un’autobiografia: Bapi: the love of my life, dedicata al padre al quale Anoushka è molto legata, tant’è che è lei a occuparsi – da ogni punto di vista – del Ravi Shankar Centre, situato a Chanakyapuri, in India.
La musicista britannica ha saputo carpire tutti i segreti dello strumento, così come è riuscita a coniugare perfettamente il linguaggio classico della musica indiana con le tinte più jazz, soul e pop di matrice occidentale. Sarà per tale abilità che, tra le altre, ha conseguito ben sei nomination ai Grammy Award, oltre a essere la più giovane ‒ e prima donna ‒ destinataria di un importante riconoscimento della Camera dei Comuni britannica, così come l’Asian Hero da parte del magazine Time, un Eastern Eye Award for Music e un Songlines Best Artist Award.
Ha debuttato come sitarista classica all’età di tredici anni. All’età di vent’anni, aveva già realizzato tre registrazioni classiche per EMI/Angel e ricevuto la sua prima nomination ai Grammy, diventando così la prima donna indiana e la più giovane candidata di sempre nella categoria World Music.
Il suo primo album da solista – Anoushka – risale al 1998, data in cui non aveva neanche raggiunto la maggiore età, e comprende cinque brani di particolare intensità e spessore.
Non v’è sala da concerti di prestigio in cui la sitarista non si sia esibita: il Barbican Centre, la Sydney Opera House, la Vienna Konzerthaus, la Salle Pleyel, la Royal Festival Hall, la Frankfurt Alte Oper, il Théâtre des Champs-Elysées, il Palais des Beaux-Arts, il KKL di Lucerna, il Millennium Park (Chicago) e la San Francisco Opera House, la Carnegie Hall; quest’ultima ha fruttato anche un fortunato live immortalato in un disco del 2001.
Non solo. Anoushka ha eseguito i quattro Concerti per sitar di suo padre con le principali orchestre del mondo, tra cui la Berlin Philharmonic, London Symphony, London Philharmonic, New York Philharmonic and Los Angeles Philharmonic Orchestra, sotto la guida di più che prestigiosi direttori come Zubin Mehta. E se ciò non bastasse, la sua poliedricità, anche come compositrice, l’ha portato a collaborazioni interculturali con artisti come Sting, M.I.A, Herbie Hancock, Pepe Habichuela, Karsh Kale, Rodrigo y Gabriela e Joshua Bell.
Rise (2005, Angel Records-EMI) palesa la buona stella compositiva della sitarista, che abbraccia anche le vie della sperimentazione.
Nel 2011, ha firmato il contratto discografico con la Deutsche Grammophon. Un periodo molto fertile dal punto di vista creativo, che ha dato luogo a una serie di CD esplorativi: Traveller (prodotto da Javier Limón) esamina la relazione tra musica classica indiana e flamenco spagnolo, il già menzionato Traces of You (prodotto da Nitin Sawhney e, ricordiamo, con Norah Jones alla voce) e Home, un album di musica classica indiana in cui è tornata ai raga e agli insegnamenti paterni. Il suo album del 2016 Land of Gold è stato scritto in risposta al trauma umanitario degli sfollati in fuga dai conflitti e dalla povertà; album che ha visto anche una nuova edizione remixata da alcuni del gotha dei producers: Mogwai, Karsh Kale, Matt Robertson).
Il 2019 ha visto l'uscita di Reflections, un album compilation che mappa i momenti salienti della sua carriera discografica ventennale. Nel 2020 esce Love Letters, nel quale fa nuovamente capolino in Opening, Flowering, Drinking Norah Jones e collabora con la musicista e compositrice tedesca Alev Lenz e la compositrice e producer (eccellente esperta di sintetizzatori) americana Kaitlyn Aurelia Smith.
Anoushka Shankar, oltre a essere una virtuosa del sitar, è anche una strepitosa compositrice, tant’è che il suo lavoro è stato celebrato in una “Zeitinsel” al Konzerthaus di Dortmund, dove le è stata data carta bianca per presentare quattro programmi completi che riflettevano diversi aspetti della sua vita artistica.
In ordine di tempo, l’ultimo album (inteso nel senso letterale del termine) realizzato risale al 2022: Between Us (Leiter), dove al fianco della Nostra troviamo Manu Delago, la Metropole Orkestra e Jules Buckley al quale è affidata la direzione.
Anoushka Shankar, però, non si è di certo fermata qui perché, dal 2022 a oggi, ha dato origine a una trilogia profonda ed entusiasmante, un diario di viaggio, per l’appunto suddivisa in tre capitoli: Chapter I: Forever, For Now (2023), Chapter II: How Dark It Is Before Dawn (2024, che si fregia anche di una nomination ai Grammy Award) e il fresco di stampa Chapter III: We Return To Light, tutti pubblicati dalla Leiter. A far da culla a queste tre produzioni è un caffè di Goa con un appunto sul suo diario personale: “Tre capitoli, tre geografie” e il filo conduttore catartico è il rapporto tra la luce e il buio.
Anoushka Shankar è una di quelle artiste che non si fermano alle apparenze, ma che viaggiano su di una dimensione – oggigiorno – definibile ultraterrena, perché la sua bellezza compositiva, il suo continuo rinnovamento (pur con i piedi saldamente ancorati nella tradizione), la sua tecnica inossidabile, hanno pochi pari.
Chapter III riporta in sella i suoni raga indiani, mix con melodie e toni più moderni, che si scontrano con ritmi in loop, texture ambientali e groove trance ipnotici. In tutto questo set puramente strumentale, Shankar e i suoi collaboratori, Sarathy Korwar e Alam Khan, interpretano le parti di gazze musicali dall'occhio acuto, scegliendo da un arcobaleno di influenze e cucendole nel loro arazzo di suoni.
Leggere l’elenco dei successi di Anoushka Shankar significa immergersi in numerose storie di vita in una sola. Sitarista di straordinario talento, artista prolifica con tredici album solisti all’attivo, compositrice per il cinema, e attivista appassionata, Shankar ha segnato tappe storiche in molteplici ambiti. A soli diciotto anni, è stata la più giovane e la prima donna a ricevere il British House of Commons Shield; è stata la prima donna indiana a esibirsi dal vivo e a presentare i Grammy Awards, vantando ben undici nomination ed essendo anche la prima donna indiana a essere nominata; è stata candidata al prestigioso Ivor Novello per la colonna sonora di A Suitable Boy; membro onorario della Royal Academy of Music; una delle prime cinque compositrici femminili ad essere inserite nel programma musicale del livello A delle scuole britanniche; e, più recentemente, nel giugno del 2024, ha ricevuto una Laurea honoris causa in Musica dall'Università di Oxford. Ha iniziato a studiare il sitar e la musica classica indiana all’età di nove anni, sotto la guida appassionata di suo padre, il leggendario Pandit Ravi Shankar. Apprendendo per via orale non solo la tradizione musicale tramandata da generazioni, ma anche la libertà improvvisativa per cui suo padre è celebre, Anoushka ha sviluppato una connessione profonda e unica tra la tradizione e l’innovazione. Questo amore per il dialogo tra culture e tempi diversi l'ha portata a collaborare con artisti straordinari come Herbie Hancock, Patti Smith, Sting, Jacob Collier, Joshua Bell, Arooj Aftab, Nils Frahm, M.I.A., Rodrigo y Gabriela, Sua Santità il Dalai Lama e sua sorella Norah Jones. La sua carriera l’ha vista esibirsi in iconiche sedi, dai jazz club alle sale da concerto fino ai palchi di festival. Nel 2025, Shankar celebra 30 anni di carriera dal debutto sul palco, con il rilascio del terzo capitolo della sua attuale trilogia di mini-album e la direzione creativa del Brighton Festival. Artista senza confini, Anoushka Shankar è nota per il suo spirito pionieristico che attraversa e mescola generi, dalla musica globale ed elettronica al jazz e alla musica neo-classica. La sua dedizione alla sperimentazione audace e alla collaborazione sempre nuova non conosce limiti.
Clarinettista, compositore e bandleader britannico di origini asiatiche, è stato insignito per due volte del titolo di Jazz Instrumentalist of the Year ai Parliamentary Jazz Awards e guida con passione i suoi ensemble, con i quali si esibisce regolarmente nel Regno Unito e all’estero. Ha pubblicato cinque album con l’etichetta Camoci Records: Northern Namaste, Primal Odyssey, A South Asian Suite, but where are you really from? e Seclused in Light. Compositore richiesto anche in ambito teatrale e cinematografico, Ghosh ha recentemente realizzato una composizione per ensemble jazz da camera e voci, una suite di undici brani ispirata al Cantico delle Creature di San Francesco d’Assisi. L’opera, presentata in anteprima nel maggio 2022, è stata eseguita in chiese, cattedrali e spazi sacri, ed è stata in tournée in Europa nel 2024 in occasione dell’ottocentesimo anniversario del celebre testo francescano. Con un’estetica e una filosofia musicale aperte e inclusive, lo stile di Ghosh abbraccia un approccio multi-epoca e multi-genere, in cui diverse espressioni del jazz si intrecciano con una moltitudine di influenze musicali. Unendo in modo sottile e istintivo la cultura musicale sudasiatica con il linguaggio del jazz, Ghosh è oggi riconosciuto come uno degli innovatori più significativi del moderno IndoJazz.
Presenza vivace e poliedrica nella scena musicale britannica, è noto per il suo lavoro con il pluripremiato quartetto Empirical e per la partecipazione a numerosi ensemble e progetti musicali di diversa natura. Ha iniziato la sua carriera come pianista e bassista elettrico, per poi concentrarsi sul contrabbasso a partire dal 2002, studiando presso la Guildhall School of Music and Drama, dove si è laureato con lode nel 2006. Con Empirical, Farmer ha ottenuto numerosi riconoscimenti, tra cui il MOBO Award come Miglior Artista Jazz nel 2010, e ha intrapreso tournée nel Regno Unito, in Europa e Nord America. Il gruppo è stato nominato Golubovich Jazz Scholars presso il Trinity Laban Conservatoire of Music and Dance nel biennio 2011- 2012 e Artist in Residence nel 2019 al Wiltshire Music Centre. Con Empirical, Farmer ha ideato e realizzato la prima “Pop-Up Jazz Lounge” del Regno Unito, un progetto innovativo portato in scena sei volte nel Regno Unito e a Berlino con il sostegno di Arts Council England. In qualità di contrabbassista, pianista e cantante, Farmer è un collaboratore molto richiesto, e ha suonato e registrato con artisti del calibro di Joe Stilgoe Trio, Anoushka Shankar, Ivo Neame, Sarah McKenzie, Manu Delago, Dave Newton, Ant Law, The Kansas Smitty’s, Marco Marconi, Clare Teal e molti altri. Come produttore ha lavorato con il cantante Atila, co-scrivendo e dirigendo lo spettacolo King for a Day: The Nat Cole Story, acclamato dal pubblico e ampiamente portato in tournée, dove Farmer si è esibito anche come contrabbassista e vocalist. Come compositore, vanta un repertorio di oltre tredici anni di opere registrate con Empirical, comprendente anche composizioni per quartetto d’archi ed ensemble jazz. Recentemente è entrato a far parte del corpo docente della Guildhall School of Music and Drama come professore a tempo pieno, insegnando jazz, contrabbasso e tecniche di ensemble.
Cresciuto a Londra da madre italiana e padre pakistano, il batterista Yusuf Ahmed incarna nella sua musica l’essenza di un’identità multiculturale e profondamente aperta. La sua arte si distingue per un approccio espressivo e sensibile, non confinato a un genere specifico, ma guidato da una visione sonora ampia e inclusiva. Nel corso della sua carriera, Yusuf ha registrato e si è esibito in tutto il mondo al fianco di artisti del calibro di Anoushka Shankar, Joy Crookes, Soothsayers, Allysha Joy, Julia Biel, Bukky Leo & Black Egypt, solo per citarne alcuni. Ha inoltre pubblicato tre album con i suoi progetti originali Qwalia e Unknown to Known, sotto la sua etichetta indipendente Maps For Getting Lost. Queste produzioni, che vantano la collaborazione di alcune delle voci più influenti della scena jazz britannica, hanno ottenuto un ampio consenso anche a livello internazionale.
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