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Matthew Rose

Concerti di mezzogiorno

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Durata 65 minuti
Musica

Matthew Rose

Sinossi

Nella nostra antologia per voce e pianoforte non potevano mancare songs dal mondo anglosassone. Da Purcell a Britten, da Butterworth a Vaughan Williams, oltrepassando i confini di luogo e di tempo, il basso inglese Matthew Rose canta del lavoratore stremato (Job’s Curse), dell’amabile Sally che sorride a un altro uomo, dell’“ora dei bambini” che viene tra la notte e l’alba. Fino alle incursioni nella storia, come In Flanders Field scritta da Ives in occasione dell’entrata in guerra degli Stati Uniti, o The Lost Chord di Sullivan, inclusa tra i primi brani mai registrati per la presentazione del fonografo di Thomas Edison a Londra nel 1888.

Con il patrocinio dell'Ambasciata Britannica a Roma

Crediti

Programma

Matthew Rose, basso

Alessandro Praticò pianoforte

Benjamin Britten, Henry Purcell

Job’s Curse

Ralph Vaughan Williams

Songs of Travel

Benjamin Britten, Henry Purcell

Let the dreadful Engines of Eternal Will

Charles Ives

In the Alley

In Flanders Field

The Children’s Hour

At the River

The Circus Band

George Butterworth

Six Songs from A Shropshire Lad

Arthur Sullivan

The Lost Chord

INFORMAZIONI
Si avvisa che le date e gli orari potranno subire variazioni.
Per aggiornamenti consultare il sito www.festivaldispoleto.com

Testo di Gregorio Moppi

Davvero una rarità per l’Italia questo programma di songs di autori angloamericani impaginato da Matthew Rose e Alessandro Praticò. La selezione parte con Benjamin Britten, il maggiore tra i compositori inglesi d’ogni epoca. I suoi lavori si pongono in dialogo costante con autori e forme musicali del passato, pur essendo sempre inconfondibilmente personali. Artigiano della musica per sua stessa ammissione, puntava a coinvolgere l’ascoltatore in un colloquio franco, diretto, utilizzando un linguaggio ben ancorato alla tonalità: in ciò si poneva al capo opposto rispetto alle esperienze attuate nel secondo Novecento da capiscuola della Nuova Musica come Boulez, Stockhausen e, per altri versi, John Cage. Non vi è genere che il suo ricco catalogo non contempli, però l’opera ne occupa il posto d’onore, fin dal capolavoro Peter Grimes (1945). Tra gli autori antichi che più lo attrassero vi è Henry Purcell, vissuto nella seconda metà del Seicento, il solo compositore inglese, prima di lui, ad aver lasciato un segno duraturo nella storia. Britten gli riconobbe, a ragione, il ruolo di iniziatore della tradizione musicale britannica, sentendosene investito dell’eredità ideale. Perciò tornò di frequente sulla sua produzione, sia per trarne ispirazione (per esempio utilizzò un suo tema nel pezzo didattico The Young Person’s Guide to the Orchestra, nel quale gli strumenti musicali vengono spiegati ai bambini) sia per infonderle nuova vita dopo secoli di oblio, conferendole una veste timbrica rinnovata cosicché gli ascoltatori novecenteschi potessero apprezzarla. A tal fine approntò la rielaborazione delle partiture teatrali Dido and Aeneas e The Fairy Queen, e la revisione di pagine sparse, fra cui parecchie vocali che spesso destinò al suo compagno, il tenore Peter Pears. Avvenuto a fine anni Trenta, l’incontro con Purcell e la plasticità con cui modellava la lingua inglese nella musica influirono straordinariamente sulla scrittura vocale di Britten. Del 1948 è la trascrizione del Job’s Curse (1682-83), il cui testo viene dal passo veterotestamentario nel quale Giobbe maledice il giorno in cui è nato. Pagina toccante, piagata dall’afflizione. Il basso continuo, Britten lo tramuta in un pianoforte di sostegno, emotivo, suono trasparente, in rapporto empatico con la voce. Data al 1971 la rielaborazione di Let the dreadful Engines of Eternal Will, uno dei songs composti da Purcell per The Comical History of Don Quixote di Thomas D’Urfey (1694), pièce teatrale ispirata al romanzo di Cervantes. Il copione della commedia lascia spazio a diverse canzoni: questa è affidata a un personaggio (Cardenio, basso) che ha perso la testa per amore, e inveisce, arde d’odio, dato che non ha più presso di sé Lucinda, che lui accusa di averlo tradito. Nel pezzo vi sono cambiamenti di tempo improvvisi che rispecchiano i repentini mutamenti di pensiero di Cardenio. Britten lascia intatta la linea melodica originaria, mentre il pianoforte impingua il sottile accompagnamento strumentale imbastito da Purcell.

Alla generazione precedente Britten appartiene Ralph Vaughan Williams, che aveva poco più di trent’anni quando, nel 1904, compose i Songs of Travel, nove pezzi per baritono e piano: i versi sono ricavati dall’omonima raccolta di Robert Louis Stevenson (1896), autore dell’Isola del tesoroe dello Strano caso del dottor Jackyll e del signor Hyde che nella sua esistenza piuttosto breve viaggiò comunque parecchio. Allora era a inizio carriera Vaughan Williams, rampollo di un casato agiato che vantava eminenti giuristi uomini di chiesa nonché, dal lato materno, parentele con Charles Darwin e i ceramisti Wedgwood. Da ragazzo si era cimentato in tutti gli strumenti, risoluto comunque a diventare compositore malgrado nessuno fosse disposto a scommettere un soldo sulle sue attitudini. Perciò forse, a dispetto degli studi accurati condotti in patria, fino al termine di una carriera carica di onori (tanto da essere sepolto in Westminster, tra i grandi della patria) continuò a rammaricarsi della sua “tecnica amatoriale”. All’epoca in cui si occupò dei Songs of Travel stava maturando l’idea che per un vero progresso della musica inglese, e affinché questa riuscisse a parlare alla gente, fosse necessario rivolgersi soprattutto al passato autoctono cinque-secentesco e alla genuina tradizione popolare. In tale direzione vanno queste canzoni. Ne è protagonista un viandante: la lunga strada che percorre, metafora della vita, è perlopiù solitaria, e l’amore, che ne acquieta la bruciante ricerca di senso, appare niente più che un episodio momentaneo. Il soggetto accomuna i Songs of Travel a tre meravigliosi cicli vocali romantici: Die schöne Müllerin e il Winterreise di Franz Schubert e i Lieder eines fahrenden Gesellen (“Canti di un viandante”) di Gustav Mahler. Il deciso passo di marcia del primo dei Songs, “The Vagabond”, esprime la filosofia del viandante. Suggestionata dall’impressionismo francese è l’atmosfera timbrica con cui la tastiera fodera la voce nel successivo, “Let Beauty Awake”, e di nuovo nel sesto, “The Infinite Shining Heavens”. Nel terzo, “The Roadside Fire”, ecco l’immagine della vita da innamorati: una sezione ridente, una sognante. Ma in “Youth and Love” il viandante non si lascia distrarre da nulla che possa indurlo alla sosta, per quanto allettante possa essere. La via lo attende, quello è il suo destino. E in effetti l’amore è perduto (“In Dreams”), e la nostalgia del passato, della casa dell’infanzia, stringe il cuore (“Whither Must I Wander?”, melodia di sapore popolareggiante che si ripresenta in maniera strofica). Una cantabilità folk ha pure il penultimo pezzo, “Bright Is the Ring of Words”. E il congedo, “I Have Trod the Upward and the Downward Slope”, chiude icasticamente il discorso: “ho amato e vissuto, e chiuso la porta”.

Si passa poi agli Stati Uniti con Charles Ives, il papà della musica “colta” americana. Modernista appartato, sperimentatore ardito con una solidissima preparazione tecnica fornitagli dapprima dal padre, direttore di banda, poi dai corsi universitari seguiti a Yale, scriveva nel tempo libero che gli lasciava la professione remunerativa di assicuratore. Fu autore prolifico perlomeno fino all’infarto che lo colpì nel 1918, ma la sua musica cominciò a circolare soltanto a partire dagli anni Trenta. Nel 1922 la stampa a proprie spese dei 114 Songs che aveva composto in quasi tre decenni di attività solitaria rappresentò per lui un primo tentativo di diffondere la sua musica. Nella postfazione Ives espone in maniera umoristica le ragioni del volume: «Alcuni hanno scritto un libro per soldi; io no. Alcuni per fama; io no. Alcuni per amore; io no. Alcuni per accendere la fiamma; io no. Non ho scritto un libro per nessuna di queste ragioni o per tutte insieme. In effetti non ho scritto affatto un libro: ho solo fatto pulizia. Tutto ciò che resta è steso sul filo per stendere i panni; ma fa bene alla vanità dell'uomo farsi vedere dai vicini: steso sul filo per stendere i panni». Tutte e cinque i songs proposti stasera – alcuni su testi dello stesso Ives – sono presenti nella pubblicazione. Composto nel 1896 durante gli studi a Yale, “In the Alley” è la parodia ammiccante di una canzonetta. Lo testimonia anche la didascalia posta nello spartito, che ricorda come Ives allora frequentasse a New Haven il Poli’s Theater dove gli spettacoli venivano accompagnati da una piccola orchestra il cui pianista, un tale George Felsburg, «sapeva leggere un giornale e suonare il pianoforte meglio di quanto alcuni pianisti sapessero suonare il pianoforte senza alcun giornale». Talvolta Ives lo sostituiva alla tastiera, quando Felsburg «voleva uscire per cinque minuti e prendere un bicchiere di birra, o una dozzina di bicchieri…». Al canadese John David McCrae si deve il testo di “In Flanders Fields” nato a seguito della seconda battaglia di Ypres, in Belgio (aprile-maggio 1915), dove l’esercito canadese combatté eroicamente; fu la prima volta che sul fronte occidentale vennero utilizzate armi chimiche su larga scala. L’intonazione che ne dà Ives è un collage di canti patriottici – compresi “God Save the King” e la “Marsigliese” - graffiati di dissonanze. Lineamenti debussyani possiede invece “The Childrens’ Hour” (1901). Sul principio della citazione si fonda, ancora, “At the River” (1916), elaborazione personalissima, distorta – anche per mezzo di materiali tratti dalla sua quarta Sonata per violino e piano – di un inno religioso ottocentesco del reverendo Robert Lowry. Derivata da una marcia che porta il medesimo titolo, anche “The Circus Band” (1894) è un collage: di melodie circensi e bandistiche, attraverso le quali Ives rende omaggio al padre, da cui lui raccontava di aver ereditato il gusto per gli impasti cacofonici.

Durante la Grande Guerra, a Pozières, nel corso della battaglia della Somme morì da prode l’inglese George Butterworth. Aveva compiuto da poco trentuno anni. Era il 5 agosto 1916. Pochi giorni prima era stato insignito della Croce militare. Invece il suo talento compositivo ancora non aveva ottenuto particolari riconoscimenti (se non da parte di qualche musicista, come Vaughan Williams), anche perché molti dei suoi pezzi manoscritti li aveva distrutti prima di partire per il fronte, giudicandoli inadeguati. Di famiglia benestante, Butterworth era stato educato in scuole prestigiose. Per dedicarsi professionalmente alla musica aveva dovuto scontrarsi con il padre che lo voleva nel campo legale, come lui. Del 1911 è la raccolta di sei liriche per baritono e piano Songs from “A Shropshire Lad”. I testi provengono da A Shropshire Lad di A. E. Housman, ciclo poetico di una quindicina d’anni prima la cui popolarità stava via via aumentando, tanto che durante la Grande Guerra fu il libro che accompagnò parecchi soldati nelle trincee, poiché i ragazzi inglesi si riconoscevano nella sensibilità, nelle emozioni espresse esplicitamente dal giovanotto (‘lad’) della contea inglese dello Shropshire. Le poesie di Housman dicono con un certo cinismo che non esiste alcun paradiso in terra e che la gioventù, come la vita stessa, se ne volano via rapidamente – magari perché uno si è trovato a dover andare al fronte. Butterworth ne riveste un paio di tenerezza romantica (“Loveliest of Trees” e “Think No More, Lad”), le altre hanno il passo di ballate folk, talvolta un andamento perfino scanzonato che crea contrasti agrodolci con il testo. Nel secondo pezzo, “When I Was One-and-Twenty”, è esplicitamente dichiarata l’origine popolare della melodia. D’altronde fin dal 1906 Butterworth, spinto da Vaughan Williams, si era unito alla Folk Song Society e da allora aveva preso a raccogliere canti tradizionali britannici.

L’ultima pagina del concerto è di Arthur Sullivan, compositore di spicco nell’Inghilterra del secondo Ottocento che, insieme al librettista W. S. Gilbert costituì una fortunata “ditta” teatrale cui si deve la creazione della “Savoy Opera”, l’operetta d’età vittoriana. Quando nel gennaio 1877 fu scritta The Lost Chord, la canzone in programma stamani, il sodalizio G&S era appena cominciato: avrebbe raggiunto il picco del successo esattamente dieci anni dopo, con The Mikado, una “Savoy Opera” di rinomanza internazionale. Ma non sono di Gilbert i versi di questa canzone, bensì della poetessa-filantropa Adelaide Anne Procter, protofemminista che godeva della stima dei maggiori letterati inglesi, tra cui Dickens. Il testo, che descrive la serenità spirituale provocata a un animo febbricitante dall’accordo di un organo che suona come “un grande Amen”, era uscito la prima volta nel 1860 sulla rivista “The English Woman’s Journal” alla cui fondazione Procter aveva partecipato. E l’afflato di un inno religioso madido di sentimentalismo ha l’intonazione che ne offre Sullivan, scritta sul letto di morte del fratello Fred, attore e cantante che era stato interprete delle sue prime due operette. Tale fu la fortuna di questo song che nell’aprile 1912 Caruso lo cantò al Metropolitan di New York nel concerto di beneficenza per i familiari delle vittime del Titanic.

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Date & Biglietti

Biglietti: da 15€ a 30€
INFO BIGLIETTERIA
Sat
05
Jul
2025
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Teatro Caio Melisso Carla Fendi
Palazzo Due mondi
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Orari Evento
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29 Giugno
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Biografie

Matthew Rose

Il basso britannico Matthew Rose ha studiato presso il Curtis Institute of Music prima di entrare a far parte del prestigioso Young Artist Programme della Royal Opera House di Covent Garden. Nel 2006 ha debuttato con grande successo al Festival di Glyndebourne nel ruolo di Bottom in A Midsummer Night’s Dream di Britten, performance che gli è valsa il John Christie Award. La sua carriera internazionale lo ha portato a instaurare un rapporto privilegiato con il Metropolitan Opera, dove nel 2022 ha celebrato la sua centesima esibizione. Per il Met ha interpretato ruoli di rilievo, tra cui Filippo II e il Monaco in Don Carlos, Raimondo in Lucia di Lammermoor, Claudio in Agrippina, Masetto e Leporello in Don Giovanni, Oroveso in Norma, Ashby in La fanciulla del West, Talbot in Maria Stuarda, Bottom in A Midsummer Night’s Dream, la Guardia Notturna in Die Meistersinger von Nürnberg, Frère Laurent in Roméo et Juliette e Colline in La bohème. Nella stagione 2024/25 tornerà a interpretare Fasolt in Das Rheingold per la Bayerische Staatsoper e Rocco in Fideliocon l’Opéra National de Bordeaux. In ambito concertistico, sarà impegnato con la Messa n. 3 di Bruckner con la SWR Symphonieorchester, i Songs and Dances of Death di Musorgskij con la London Philharmonic Orchestra e una serie di recital dedicati a Winterreise in tutto il Regno Unito. Tra i suoi recenti impegni operistici spiccano il debutto nel ruolo di King Marke in Tristan und Isolde per il Grange Park Opera, Baron Ochs in Der Rosenkavalier per La Monnaie, Wotan in Die Walküre per la English National Opera e il Staatstheater Darmstadt, Gremin in Eugenio Onegin per il Garsington Opera e Leporello in Don Giovanni per la Lyric Opera di Chicago. Ha inoltre interpretato Bottom in A Midsummer Night’s Dream al Teatro alla Scala, all’Opéra National de Lyon, alla Philadelphia Opera, alla Houston Grand Opera, al Metropolitan Opera e alla Royal Opera House. Tra gli altri ruoli eseguiti alla Royal Opera House figurano Pimen in Boris Godunov, Sparafucile in Rigoletto, Sarastro in Die Zauberflöte, Raimondo in Lucia di Lammermoor, Baron Ochs in Der Rosenkavalier, Timur in Turandot e Talbot in Maria Stuarda. A Glyndebourne si è distinto nei panni di Leporello in Don Giovanni, Nick Shadow in The Rake’s Progress, Callistene in Poliuto, Le Commissaire in Mesdames de la Halle e Collatinus in The Rape of Lucretia. Ha calcato i palcoscenici della Lyric Opera di Chicago come Baron Ochs in Der Rosenkavalier, dell’English National Opera come Claggart in Billy Budd e King Marke in Tristan und Isolde, della Welsh National Opera, dell’Opéra de Lille e della Bayerische Staatsoper nel ruolo del protagonista in Le nozze di Figaro, della Deutsche Oper come Grande Inquisitore in Don Carlo e Leporello in Don Giovanni, e dell’Opéra National de Bordeaux nel ruolo di Enrico VIII in Anna Bolena. In ambito concertistico, Matthew Rose si è esibito al Festival di Edimburgo, ai BBC Proms e al Mostly Mozart Festival di New York. Ha collaborato con le principali orchestre internazionali, tra cui la London Symphony Orchestra sotto la direzione di Sir Colin Davis, Daniel Harding e Michael Tilson Thomas, la Philadelphia Orchestra con Yannick Nézet-Séguin, la Los Angeles Philharmonic con Gustavo Dudamel, la Staatskapelle Dresden con Sir Charles Mackerras, la New York Philharmonic con Manfred Honeck, l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia con Sir Antonio Pappano, la Montreal Symphony Orchestra con Kent Nagano, la London Philharmonic Orchestra con Vladimir Jurowski ed Edward Gardner, la Boston Symphony Orchestra con Charles Dutoit, la BBC Symphony Orchestra con Sir Andrew Davis, Edward Gardner, Jiří Bělohlávek e Marc Minkowski, la Rotterdam Philharmonic con Richard Egarr, la Deutsches Symphonie-Orchester Berlin con Kent Nagano e il Wiener Konzerthaus con Pablo Heras-Casado. Tra le sue recenti esibizioni spiccano la Messa Glagolitica con la London Philharmonic Orchestra diretta da Edward Gardner, la Missa Solemnis con l’Orchestre Révolutionnaire et Romantique sotto la guida di John Eliot Gardiner, la Sinfonia n. 9 di Beethoven e la Messa dell’Incoronazione di Mozart con la Gürzenich-Orchester Köln diretta da François-Xavier Roth, il Christus nella Passione secondo Matteo con Arcangelo ai BBC Proms sotto la direzione di Jonathan Cohen, il Messiah diretto da Reinhard Goebel e la Passione secondo Giovanni con la Swedish Radio Symphony Orchestra diretta da Daniel Harding. Appassionato interprete liederistico, si è esibito alla Wigmore Hall di Londra, al Kennedy Center di Washington, alla Carnegie Hall di New York, al Concertgebouw di Amsterdam, a Snape Maltings ad Aldeburgh, a Brighton e nei festival internazionali di Chester e Cheltenham. Attualmente è direttore artistico di Folkestone on Song, iniziativa volta a promuovere il canto e la musica vocale nella comunità di Folkestone e dell’East Kent. Tra le sue registrazioni più acclamate figurano Winterreise con Gary Matthewman e Schwanengesang con Malcolm Martineau (Stone Records). Il suo ultimo album da solista, Arias for Benucci, è stato realizzato con Arcangelo e Jonathan Cohen per l’etichetta Hyperion. Ha inoltre partecipato a incisioni di Guillaume Tell e Tristan und Isolde con Antonio Pappano, Billy Budd con Daniel Harding (vincitore di un Grammy Award per la Miglior Registrazione d’Opera), Bel Canto Arias con Natalie Dessay ed Evelino Pidò, Messiah con Stephen Cleobury e il Choir of King’s College (EMI), A Child of Our Time di Tippett e L’enfance du Christ di Berlioz con Sir Colin Davis (LSO Live), e Lieder di Liszt con Iain Burnside (Signum). Le sue interpretazioni in DVD includono Nick Shadow in The Rake’s Progress e Mr Flint in Billy Budd da Glyndebourne, nonché Polifemo in Acis and Galatea dalla Royal Opera House (Opus Arte). Da sempre impegnato nel sostegno alle nuove generazioni di artisti, Matthew Rose ha collaborato come consulente artistico del Lindemann Young Artist Programme del Metropolitan Opera e ha tenuto masterclass per il Britten Pears Young Artist Programme, il Curtis Institute, l’Académie de Royaumont, la Juilliard School, la Manhattan School of Music, il Trinity Laban e la Chautauqua Institution. Nel 2017 e 2018 ha diretto il suo corso estivo Scuola di Belcanto in Italia e nel 2025 tornerà per condurre masterclass a Spoleto.

Alessandro Praticò

Nato a Reggio Calabria nel 1997, si diploma in pianoforte principale al Conservatorio “F. Cilea” della sua città, sotto la guida del M° Rosa Inarta, con il massimo dei voti, lode e menzione d’onore. Successivamente si perfeziona a Parigi, in repertorio solistico, operistico e cameristico, sotto la guida del M°Jean-Marc Bouget. Dal 2016, inizia la sua attività di Maestro Collaboratore, invitato dal M° Renzetti, al Teatro Lirico di Cagliari, poi all’Opéra de Paris – mentre studia all’Atelier Lyrique del teatro –, al Teatro di Brema e al Teatro di Karlsruhe fino al 2022, anno nel quale vince il concorso di Solorepetitor alla Bayerische Staatsoper di Monaco di Baviera. Ha collaborato con molti importanti direttori d’orchestra, fra i quali: Vladimir Jurowski, Donato Renzetti, Francesco Ivan Ciampa, Massimo Zanetti, Andrea Battistoni, Daniele Rustioni, François Xavier Roth, Stefano Montanari, Antonino Fogliani e Giacomo Sagripanti. Inoltre, collabora regolarmente nei recital di Lisette Oropesa e Ludovic Tézier. È spesso invitato a collaborare in masterclass di tecnica e interpretazione vocale e strumentale.

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