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Percussionisti della Scala

Concerti di mezzogiorno

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Durata 60 minuti
Musica

Percussionisti della Scala

Sinossi

Marimbe, vibrafoni, glockenspiel, campane, e ancora grancassa, tamburi, tom tom e bongos: i percussionisti del Teatro alla Scala arrivano a Spoleto circondati da ogni genere di strumento. Con le percussioni, tutto diventa musica: i “pezzi di legno” necessari per eseguire il capolavoro di Steve Reich, le acque inquiete dei fiumi sudamericani cui Philip Glass dedica il suo Águas da Amazônia, le “canzoni dei bambini” del celebre album di Chick Corea, qui presentate in un originale arrangiamento per strumenti a percussione.

Crediti

Programma

Gianni Arfacchia

Giuseppe Cacciola

Gerardo Capaldo

Antonio Cancelli

Francesco Muraca

Mitch Markovich

Teamwork

Marc Mellits

Gravity

Philip Glass

Madeira River

da Águas da Amazônia

Steve Reich

Music for Pieces of Wood

Philip Glass

Xingu River

da Águas da Amazônia

Loris Francesco Lenti

Sanno Daiko

Chick Corea

Selezione da Children’s Songs

INFORMAZIONI
Si avvisa che le date e gli orari potranno subire variazioni.
Per aggiornamenti consultare il sito www.festivaldispoleto.com

La marimba come ponte

di Jacopo Tomatis

Scriveva John Cage che «la percussione è del tutto aperta. Non tanto nel senso che è indefinita, ma proprio che non ha fine». Gli altri strumenti dell’orchestra hanno solo da imparare, alla sua «scuola del rumore», perché la percussione è un biglietto di sola andata per fuggire «dal pollaio dell’armonia», e spiccare infine il volo.  Le percussioni, dunque, come spazio di infinite possibilità per il compositore, ma anche per noi che ascoltiamo: Cage ricordava anche che esse sono il suono del mondo, e che dunque il mondo stesso “suona” come un ensemble di percussioni. L’armonia, la melodia sono più un’eccezione di quanto non siano la regola: «Se non stai sentendo musica, qualunque suono ti arriva all’orecchio è percussione, ovunque tu sia – in casa o fuori casa, in città e fuori città. Fuori e dentro questo pianeta?»

Nella storia della musica eurocolta le percussioni hanno sempre giocato un ruolo di spalla. Visibili sul palco e soprattutto udibili (già, difficile ignorarle…) ma quasi sempre a servizio dei loro più nobili colleghi. Come è noto, è il Novecento ad aver offerto loro il proscenio. E le percussioni, come pochi altri oggetti, sembrano collocarsi proprio nel fulcro del generale ripensamento del “suono in cui viviamo” che ha attraversato lo scorso secolo, e la cui eco arriva fino a oggi. Se la musica d’arte ambiva a costruirsi come musica “per la mente”, la percussione rivela senza pietà e senza sconti la natura corporea di quella stessa musica – di ogni musica. Non ascoltiamo solo con le orecchie, né – per quanto esseri pensanti – siamo fatti di puro pensiero. Le percussioni hanno ossa, pelli, membrane, che vibrano come – e fanno vibrare – l’intero nostro corpo. Se la storia della musica è stata raccontata come un susseguirsi di innovazioni e superamenti, in una gara alla complessità che ha avuto soprattutto l’armonia come terreno di gioco, le percussioni ci costringono a focalizzare la nostra attenzione sul ritmo e sul timbro. Se la variazione è stata al centro delle architetture creative dei grandi compositori, le percussioni hanno tematizzato e problematizzato, infine, la ripetizione.

È anche per queste ragioni che gli strumenti a percussione sono in grado di tessere legami fra mondi musicali diversi e diverse culture come pochi altri oggetti sanno fare. Un ponte – e la struttura stessa della marimba, passerella di legno e corda, sembra supportare il nostro immaginario – fra Oriente, Africa, America ed Europa. Fra colto e popolare, fra corpo e mente, fra intelletto ed emozione, fra alto e basso.

E allora, come sospesi sopra il vuoto del possibile musicale, partiamo insieme ai Percussionisti della Scala.  Non è certo un caso che nel cuore del percorso stia un doppio Philip Glass, con due brani estratti dal ciclo Águas da Amazônia: l’ipnotico e sognante Madeira River e il più ossessivoXingu River. Il primo nucleo dei materiali che confluiranno in Águas da Amazônia risale agli anni Novanta del Novecento e viene composto da Glass a beneficio dei danzatori della compagnia di Belo Horizonte Grupo Corpo, con il titolo Seven or Eight Pieces for a Ballet. In versione espansa a dodici tracce, quei brani finiscono poi nelle mani del gruppo brasiliano Uakti, ripensati e riarrangiati da Marco Antônio Guimarães per un organico di percussioni, archi, fiati e tastiere in uno splendido album (Águas da Amazônia, Point Music 1999). Segue una versione orchestrale della MDR Leipzig Radio Symphony Orchestra con l'Absolute Ensemble, diretti da Kristjan Järvi (Orange Mountain Music 2017). Infine, è storia recente l’incisione con nuovi arrangiamenti degli americani Third Coast Percussion (Rockwell Records 2025). Sopravvissute con freschezza a due decenni di rifacimenti, le “acque dell’Amazzonia” scorrono nel clima culturale degli anni d’oro della “world music”, e rivelano l’incrocio di suggestioni e stili che animava il lavoro di Glass in quel periodo, quando la scrittura più minimalista e iterativa dei suoi primi decenni cominciava a frequentare con abitudine forme in apparenza più pop, consapevoli tanto delle strutture cicliche della musica africana quanto della nuova scena elettronica. Basta ascoltare l’apertura nella seconda parte di Madeira River, con il suo sovrapporsi e incastrarsi di arpeggi che può ricordare tanto un’orchestra di likembe del Congo quanto un sequencer, un gamelan balinese o l’Aphex Twin di Drukqs. In ogni caso, ripetizione e sintesi armonica al servizio, senza vergogna, dell’emozione in musica.

Gravity, del compositore americano Marc Mellits, sembra a tratti procedere nella stessa direzione, con i cicli ritmici di marimbe e vibrafoni che si accumulano come onde, ora sommergendo ora lasciando riemergere la pulsazione. Ma è un concetto che si ritrova anche – trasfigurato in una sensibilità più jazz, memore allo stesso tempo della musica pianistica di Béla Bartók – anche in alcune delle Children’s Songs di Chick Corea, riproposte per l’occasione in un originale arrangiamento per percussioni. Composte nel corso degli anni e confluite infine in un disco ECM nel 1984, le “canzoni per bambini” vanno a ricercare nel mondo dell’infanzia una semplicità e una dolcezza che suonano lontane da molte delle produzioni più famose del musicista americano, scomparso nel 2021.

Nella direzione di una (apparente?) messa in secondo piano dell’armonia a vantaggio del ritmo procedono invece gli altri brani in programma. Sanno Daiko del milanese Loris Lenti riflette intorno alla pulsazione, con i soli dei diversi esecutori a stagliarsi sul suo sfondo regolare, omaggio ed evocazione degli ensemble giapponesi di tamburi; Teamwork dell’americano Mitch Markovich trasferisce un simile concetto negli Stati Uniti delle marching bands, facendo sfoggio di tecniche virtuosistiche divenute banco di prova obbligato per i percussionisti più intrepidi.

Non è forse un caso che lungo la piega simmetrica della scaletta, alla sua ideale metà, stia il brano più radicale, il più semplice e insieme il più complesso: Music for Pieces of Wood di Steve Reich (1973). Composto per cinque coppie di claves (o legnetti) con diversa intonazione, il pezzo si colloca sulla stessa linea di altri capisaldi del repertorio reichiano, come Clapping Music, dell’anno precedente (con cui condivide la semplicità timbrica: qui i legnetti, là il battito delle mani), Drumming (1970-71) e Music for 18 Musicians (1974-76). Reich, in un suo celebre scritto del 1968, si diceva interessato alla «musica come processo graduale», ovvero alla contemplazione in tempo reale delle variazioni percepibili che modificano una performance man mano che procede. Una pratica che il compositore paragonava a lasciare andare un’altalena per osservarla fino a quando non cessa il suo moto, o a mettere i piedi sulla battigia dell’oceano per osservare le onde che poco a poco li seppelliscono nella sabbia.[1]Ancora, l’assonanza con la musica elettronica e con le musiche del mondo salta all’orecchio: lo prevedeva lo stesso Reich, ricordando come, alla fine, «ogni musica si rivela etnica».

Tante idee, dunque, tanti suoni, tutti diversi ma allo stesso tempo tutti simili. È questa, forse, la lezione più importante che possiamo trarre dalle percussioni e dal loro repertorio: è nell’irriducibile diversità di ogni identità che si può trovare – si deve trovare – un terreno comune, oltre le differenze, le intolleranze, le distanze culturali. Tornando a Cage, da cui siamo partiti: «Due strumenti a percussione della stessa famiglia», scriveva il compositore «non sono simili fra loro più di quanto lo siano due persone che si trovino ad avere lo stesso nome». Ma sempre di persone, e di musica, si tratta.

[1] Steve Reich, «Music as a Gradual Process», in Writings about Music, New York, New York University Press 1968.

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Date & Biglietti

Biglietti: da 15€ a 30€
INFO BIGLIETTERIA
Sun
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Jun
2025
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Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti
Palazzo Due mondi
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Orari Evento
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Biografie

Percussionisti della Scala

L’ensemble di strumenti a percussione del Teatro alla Scala nasce nel 1978 su consiglio di Claudio Abbado. La denominazione “I Percussionisti della Scala” si collega al teatro da cui gli strumentisti provengono e dove svolgono la loro principale attività. Al Teatro alla Scala, infatti, vivono quotidianamente varie esperienze e diverse realtà musicali, nonché svariate possibilità applicative e teoriche dei numerosissimi strumenti a percussione. Suonano in tutti i teatri più importanti del mondo, sia con l’orchestra del Teatro stesso che con quella della Filarmonica insieme ai direttori più prestigiosi. L’ensemble di percussioni ha tenuto centinaia di concerti, davanti ai più svariati tipi di pubblico, partecipando a molte rassegne musicali d’eccellenza sia in Italia che all’estero: Teatro alla Scala, Ravenna Festival, Ludwigsburger Festival, Teatro Manzoni, Conservatorio G. Verdi di Milano per la Società dei Concerti, Salone della Musica di Torino, Giornata mondiale della Festa della Musica, Festival concerti all’alba Città di Como, Riva Festival, Absolute Music ROH Muscat e molti altri. Oltre a partecipare a concerti trasmessi dalla Rai e da altri network privati, hanno inaugurato rassegne umanitarie come il Telethon, suonando insieme a grandi artisti della musica rock e prendendo parte ad eventi di notevole rilievo, suonando sulle piazze assieme a gruppi folkloristici africani e partecipando, assieme a dei gruppi di tecno-esecutori di musiche sperimentali, ad attività d’improvvisazione rivolte ai giovani. Il gruppo, assai flessibile e polivalente per quanto riguarda il numero degli esecutori, ha avuto la possibilità di eseguire moltissime “prime” nazionali e mondiali assolute con musiche espressamente composte ed a loro dedicate da noti compositori: Luigi Nono, Karl-Heinz Stockhausen, Giacomo Manzoni, Azio Corghi, Marcello Abbado, Marco Betta, Federico Dell’Agnese, Carlo Galante, Luca Mosca, Marco Tutino, Paolo Ugoletti, Maurice Jarre, Lorenzo Ferrero, Matteo D’Amico, Maurizio Fabrizio, Stefano Martinotti, Ailem Carvajal Gomez, Luigi Marinaro, Luigi Abbate, Carlo Boccadoro, Fabio Capogrosso, Mauro Montalbetti, tutte eseguite sia al Teatro alla Scala che in vari Festival. Il gruppo svolge, collateralmente all’attività concertistica, diversi progetti discografici tra cui I Colori della Percussione, Fla-Ga-Dà, Percussion Masterpieces (Live al Teatro alla Scala) e Carmen Suite (insieme ai Cameristi della Scala).

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